Di Ferruccio Pastore per Affarinternazionali
Qualche riflessione a caldo sull’esito del Consiglio europeo in materia di migrazioni. “L’Italia non è più sola”, afferma Giuseppe Conte, stanco. ma felice, dopo una nottata di accanite trattative. Il suo vice Matteo Salvini, però, stando ai primi tweet mattutini, non si fida. Leggendo le conclusioni sui migranti del Vertice, svoltosi a Bruxelles il 28 e 29 giugno, sembrerebbe di dovere dare ragione al secondo. A parte una spruzzata di soldi (indirizzati alla Guardia costiera libica e omologhi Sahel, punto 3 del documento; usati per rimpinguare il Fondo fiduciario per l’Africa, punto 7; versati nel prossimo Multiannual Financial Framework, punto 9), sui veri nodi politici e normativi non c’è niente di vincolante, quindi niente di garantito in concreto. Vediamo rapidamente i punti-chiave:
Centri regionali di sbarco
Su questi centri di smistamento da costituire al di fuori dell’Ue (dove, non si sa), si dice che si esplorerà il concetto, ma non è in vista alcuna conseguenza pratica in tempi brevi: “The European Council calls on the Council and the Commission to swiftly explore the concept of regional disembarkation platforms, in close cooperation with relevant third countries as well as UnHcr and Iom. Such platforms should operate distinguishing individual situations, in full respect of international law and without creating a pull factor”.
Centri raccolta ed esame all’interno dell’Ue, cosiddetti “hotspot”
Anche di questo si continuerà a parlare; in ogni caso, si tratterebbe di strutture create solo su base volontaria e “senza pregiudizio di Dublino”, quindi senza toccare il principio del Paese di primo sbarco: “On EU territory, those who are saved, according to international law, should be taken charge of, on the basis of a shared effort, through the transfer in controlled centres set up in Member States, only on a voluntary basis, where rapid and secure processing would allow, with full EU support, to distinguish between irregular migrants, who will be returned, and those in need of international protection, for whom the principle of solidarity would apply. All the measures in the context of these controlled centres, including relocation and resettlement, will be on a voluntary basis, without prejudice to the Dublin reform”.
Movimenti secondari
Su questo aspetto, spinosissimo per l’Italia, in sostanza si ribadisce che bisogna fermare gli spostamenti irregolari di migranti all’interno dell’Ue, a tutti i costi e con ogni mezzo. Non è chiaro cosa questo implichi in concreto, ma sembrerebbe una formula che lascia ampio margine al ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer per continuare il suo braccio di ferro con la cancelliera Angela Merkel: “Concerning the situation internally in the EU, secondary movements of asylum seekers between Member States risk jeopardising the integrity of the Common European Asylum System and the Schengen acquis. Member States should take all necessary internal legislative and administrative measures to counter such movements and to closely cooperate amongst each other to that end”.
Riforma Protocollo Dublino
Si prende atto dell’assenza di consenso sui punti-chiave. La riforma viene di fatto rimandata ad ottobre: “A consensus needs to be found on the Dublin Regulation to reform it based on a balance of responsibility and solidarity, taking into account the persons disembarked following Search And Rescue operations … There will be a report on progress during the October European Council.”
Come valutare, dunque, le conclusioni del Vertice nell’insieme? Nell’immediato, l’aspetto più importante è forse l’impatto sulla situazione politica interna tedesca: quelle poche righe sui movimenti secondari dei migranti basteranno a disinnescare una crisi di governo a Berlino?
Poi, nelle prossime settimane, bisognerà vedere cosa succederà nel Mediterraneo centrale, appena un contingente significativo di migranti riuscirà a bucare una barriera di contenimento ormai sempre più impenetrabile, fatta di un sostanziale divieto di salvataggio per le Ong, di segnali di ridotta operatività della Guardia costiera italiana e di un ulteriore rafforzamento degli exit control libici.
Inoltre, non si possono escludere cambiamenti di strategia da parte di chi gestisce il traffico in uscita dalla Libia. E’ possibile che i trafficanti tornino al modus operandi di 10 anni fa, puntando direttamente alle coste italiane. E’ vero che i vari apparati di controllo operanti lungo la rotta del Mediterraneo centrale hanno man mano distrutto, a scopo preventivo, gran parte dei natanti libici usati dagli smugglers (spingendo così di fatto all’uso di quei pericolosissimi gommoni giganti di produzione cinese). Ma prima o poi qualcuno procurerà nuove imbarcazioni. Allora che farà l’Italia? Che farà l’Europa?
Nel frattempo, gli scontri per il controllo dei pozzi e dei terminali, nella Libia centrale, proseguono. Ma purtroppo non sembra che di questo, l’altra notte a Bruxelles, si sia parlato.