Roma – “Siamo partiti dal voler cambiare i nostri comuni” ma “l’obbiettivo è di cambiare l’Europa”. Il leader della Lega Matteo Salvini si lancia subito in una nuova campagna elettorale. Davanti ai militanti del suo partito, riuniti come ogni anno a Pontida per la ‘festa di famiglia’, mette in chiaro che il Carroccio – abbandonato il ‘verde secessione’ per il ‘blu unitario’ che piace anche al Sud – punta alla creazione di una famiglia sovranista europea in vista delle elezioni per il Parlamento Ue di maggio 2019. Data la forza registrata nei sondaggi, ai quali il segretario federale dice di non guardare, è chiaro che nel mirino ci sia la leadership di una “alleanza internazionale dei populisti”. Definizione che lo stesso Salvini, per nulla ammorbidito dalle vesti istituzionali di vicepresidente del Consiglio e ministro degli Interni, giudica “un complimento”.
Sfrutterà proprio questo suo ruolo di governo per portare avanti i propri progetti europei. Quello di creare appunto una “Lega delle leghe”, ma anche quello di influenzare le politiche negli altri Paesi membri. Da titolare degli Interni, infatti, ha intenzione di girare l’Europa “capitale per capitale, incontrando i colleghi ministri per occuparci di sicurezza, di antiterrorismo, di controllo dei confini, e proponendo un’alleanza che dia a 500 milioni di cittadini un futuro diverso”.
La finalità è duplice, dunque. Da un lato un lavoro più a breve termine, per fare breccia nelle cancellerie degli altri Paesi Ue, anche al costo di destabilizzarle. È quello che sta facendo ad esempio con Berlino. Schierandosi nella “alleanza dei volenterosi” con il collega tedesco Horst Seehofer, e spingendo per l’irrigidimento dell’esecutivo italiano sui migranti, al Vertice europeo della scorsa settimana, ha accentuato i rischi di una caduta della cancelliera Angela Merkel. Una strategia che potrebbe ripetersi nelle prossime settimane con altri governi, magari su temi economici, altro terreno sul quale il vicepremier necessita di scardinare diversi paletti in Europa, se vuole realizzare le promesse di “smontare la legge Fornero” sulle pensioni e “abbassare le tasse”.
Rimane da capire se sia fruttuoso, per gli interessi italiani, avere a che fare con tanti governi sovranisti, i quali per definizione – almeno quella che attualmente va per la maggiore, correlata a una buona dose di euroscetticismo – finirebbero per stressare le divergenze già presenti tra interessi nazionali in conflitto.
Lo stesso problema di ‘dialettica accesa’ e posizioni inconciliabili si avrebbe all’interno di una “Lega delle leghe”, ma anche su questo secondo fronte Salvini mostra di non curarsi troppo del problema. Se lo porrà in un secondo momento, se riuscirà a conquistare la leadership delle forze sovraniste al Parlamento europeo e se, come spera, il gruppo si rivelerà così forte da poter pretendere di entrare in maggioranza, magari sostituendosi ai socialisti nella grande coalizione con i popolari che da tempo si rinnova a Strasburgo. Rinascerebbe a livello europeo la coalizione di centrodestra accantonata per il momento in Italia. E anche se nel Ppe in molti storcono il naso e si dicono contrari, è difficile negare un’alleanza a Salvini quando in casa hai già il primo ministro ungherese Victor Orban.
In questo scenario, l’altra forza eurocritica di casa nostra come si pone? Se il Movimento 5 stelle si accodasse alla Lega, in questa alleanza paneuropea del populismo, sancirebbe di fatto che quella col Carroccio è più di un’avventura. Rischierebbe però di realizzare la profezia di chi, guardando a una Lega in ascesa e un M5s in rallentamento nei sondaggi, predice il declino dell’esperienza pentastellata.
Anche l’idea di un progetto comune con En marche del presidente francese Emmanuel Macron – apparsa su qualche quotidiano qualche mese fa, prima di essere non troppo categoricamente smentita dai transalpini, che invece dialogano col Pd attraverso l’ex sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi – sembra poco praticabile oltre che elettoralmente nociva per il movimento. A meno che, nei nuovi equilibri che vanno delineandosi nell’Unione europea dopo che lo tsunami italiano ha allagato anche il caposaldo Merkel, Macron non decida di puntare sui 5 Stelle per creare un altro polo post-ideologico europeo.
Quest’ultima – a prescindere da una comunque improbabile adesione di Macron – è un’opzione quasi obbligata per i pentastellati, se non vogliono abbandonare le mire di autonomia per fondersi in una coalizione strutturata con l’alleato leghista. Lo spazio politico per un simile esperimento c’è, in Italia come in altri Paesi, e in larga parte è rappresentato dalle stesse praterie che oggi ha davanti il populismo di Salvini. Se il leader del Carroccio vuole “dar voce a quei popoli che sono stati stroncati da chi aveva a cuore solo le sorti della finanza e delle multinazionali”, se vuole “liberare i popoli da questa Unione europea”, è agli stessi popoli che si sentono defraudati della sovranità che il nuovo soggetto potrà rivolgersi. È in quello stesso malcontento che potrà pescare per cercare consensi, ma su una proposta alternativa, che rivendichi anch’essa sovranità, puntando tuttavia a esercitarla in chiave europea e non nazionale.
Per i 5 stelle sarebbe il completamento di un percorso. Partito con la volontà di organizzare un referendum contro l’euro, sostituita poi questa idea con una richiesta di radicale modifica della governance economica del’Eurozona, il M5s si porrebbe definitivamente come un movimento che risponde alle istanze sovraniste non con la restituzione di sovranità agli Stati europei, come fa Salvini, ma con un ritorno della sovranità ai popoli europei, attraverso un controllo democratico maggiore sulle istituzioni che oggi la esercitano a livello sovranazionale. La richiesta di un ruolo più forte del Parlamento europeo – avanzata nel primo intervento sull’Ue dell’allora candidato premier Luigi Di Maio – suggerisce che il movimento può andare in quella direzione, ma il percorso richiederà coraggio e capacità di coinvolgere compagni di viaggio nel resto d’Europa.