Bruxelles – “È stato un lungo negoziato, ma l’Italia da oggi non è più sola” . Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte annuncia così all’alba la fine del braccio di ferro con i partner Ue sulle migrazioni.
Alle 4.50 del mattino Conte si mostra molto contento ed elenca i contenuti delle conclusioni del Consiglio europeo, indicando che i partner Ue hanno recepito molte delle richieste del piano italiano, seguendo un testo che Conte aveva prima di tutti concordato con il presidente francese Emmanuel Macron.
Leggendo le carte diffuse qualche ora dopo però sembra che i 28 abbiano concordato su molta teoria e poca pratica, tanti principi, che sono comunque aperture, e pochi fatti. Sui migranti i risultati sono più annunci che decisioni e i margini interpretativi sono ancora ampi. Non sono risultati da poco, beninteso, se si guarda a come il governo italiano lascia il primo giorno di lavori del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue. Dopo una riunione fiume di oltre dodici ore, i leader dell’Unione europea trovano una sintesi politica che dovrà ora essere resa operativa in ogni suo punto.
Il primo risultato utile per il governo di Roma è che però solo “su base volontaria” si riconosce il principio di solidarietà e di responsabilità condivisa. Vuol dire che i migranti in arrivo sulle coste della Penisola non arrivano in Italia ma in Europa e, forte di questo, altri Stati membri si faranno carico di ospitarli in hotspot da aprire su suolo Ue. La Francia però ha già fatto sapere che non ha intenzione di farlo.
Può sembrare poco, ma non è pochissimo, a livello di dialogo. Finora i Paesi in prima linea erano lasciati soli a farsi carico di tutte le richieste di asilo. Adesso c’è una sorta di “via libera”, di auspicio, che anche altri governi lo facciano. Non è chiaro però da chi sarà formata questa ‘coalizione di volenterosi’. Gli Stati membri che aiuteranno l’Italia si vedranno alla prova dei fatti. Non saranno certamente i partner Ue di Visegrad, che con la natura “volontaria” degli hotspot europei ottengono la loro grande vittoria politica di non essere obbligati a partecipare.
Il presidente francese Emmanuel Macron, entrando questa mattina nel Consiglio europeo, ha di fatto confermato che ancora c’è poco nel documento. SI deve, ha detto, “creare un equilibrio tra responsabilità e solidarietà nelle politiche sui migranti a livello Ue”. E poi scarica subito sull’Italia i maggiori oneri: “La Francia non è un Paese di primo arrivo e, conformemente ai principi di diritto internazionale e umanitario, spetta agli Stati Ue che si affacciano sul Mediterraneo come l’Italia condurre le operazioni di salvataggio”. Sulle politiche e le promesse però è generoso: “Noi, dal canto nostro, faremo del nostro meglio per mettere in pratica politiche più solidali – afferma – e sostenere i Paesi Ue di primo arrivo che devono gestire la pressione dei flussi migratori”. Tocca a Italia e magari alla Grecia cavarsela: “Le soluzioni da mettere in pratica sono impostare accordi bilaterali di partenariato con Paesi terzi come la Libia e applicare politiche di rimpatrio più efficaci”, ha concluso il presidente francese.
Ma Conte, lasciano in tarda mattinata il suo hotel questa mattina rivendica il successo. Ai giornalisti che lo hanno atteso fuori dall’albergo e gli chiedevano se fosse soddisfatto dell’accordo raggiunto il presidente del Consiglio ha risposto con una battuta: “Vi devo fare una confessione, se avessi potuto scrivere da solo le conclusioni, qualche passaggio lo avrei scritto diversamente”. Poi ha aggiunto: “considerato che si è trattato di una lunga e complessa negoziazione tra 28 Stati, non posso che ritenermi soddisfatto”.
Il primo ministro ungherese Viktor Orban del resto era arrivato a Bruxelles dicendo che “la questione fondamentale non è l’immigrazione ma la democrazia”. Gli ungheresi hanno votato per governi anti-immigrazione e quindi niente obblighi. Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, non ha dubbi sul fatto che ciò che permesso un’intesa è proprio la volontarietà di partecipazione ai meccanismi.
Vittoria per il blocco di Vysegrad, dunque, che può continuare a sfilarsi e defilarsi. Vittoria dell’Italia in linea di principio, che ottiene garanzie finanziarie. C’è l’intesa a versare altri 500 milioni di euro (tolti da un altro fondo, destinato ad aiutare i Paesi più poveri del Mondo) al fondo per l’Africa e sbloccare la nuova tranche per la Turchia (tre miliardi di euro, due dei quali da fondi comunitari e un miliardo di contributi dei governi). Per il prossimo bilancio pluriennale ci saranno fondo appositamente dedicati, “flessibili e dall’esborso rapido”, per il contrasto all’immigrazione irregolare.
La vera vittoria, sempre politica, la porta a casa la Germania laddove nelle conclusioni si stabilisce che “gli Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure legislative e amministrative interne necessarie” per contrastare i movimenti secondari, cioè gli spostamenti dei migranti da uno Stato membro all’altro. Si riconosce ai governi, dunque, di poter presidiare e chiudere le frontiere, se necessario. Un passaggio messo nero su bianco che la cancelliera tedesca può usare a casa per tentare di evitare crisi politiche. Un passaggio che nei fatti non dispiace a nessuno.
Il rischio è che l’Italia ottenga meno degli altri, e che come sempre stato finora strappi concessioni minime, seppure importanti, a dei partner intenzionati fino a un certo punto a gestire i flussi. Si dovrà vedere nelle prossime settimane come questa intesa politica, molto povera di dettagli, lavorerà, “fatto salvo la riforma del regolamento di Dublino”, il testo che disciplina il sistema comune di asilo ancora in attesa di una modifica, che i leader hanno mancato di avere per fine giugno e che arriverà a questo punto non si sa bene quando.
C’è l’impegno a lavorarci, e dovrà farlo a partire dalla prossima settimana un Paese come l’Austria, nuovo presidente di turno del Consiglio Ue, che a un certo punto minacciava di chiudere il Brennero. Anche qui, è attesa la prova dei fatti.
C’è poi l’intenzione a lavorare per le piattaforme di sbarco regionali, da realizzare in Paesi terzi. I leader invitano i loro ministri e la Commissione ad “esplorare il concetto” in cooperazione con gli Stati africani e le organizzazioni internazionali Unhcr (Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu) e Oim (Organizzazione internazionale per l’immigrazione). Piattaforme che nessuno sa dire come si potranno configurare. L’Europa, a fatica, va avanti. O almeno ci prova. Tutti dicono a vario titolo di aver portato a casa un risultato soddisfacente. Per l’Italia si rischia la classica montagna che partorisce il topolino.