Bruxelles – La Commissione europea crede che una una riforme delle regoli comuni per la concessione dell’asilo sia ancora possibile. “Siamo coinvolti per permettere che un accordo venga raggiunto”, assicura il capo del servizio dei portavoce, Margaritis Schinas, che si dice “fiducioso” circa la possibilità che “tutti gli elementi saranno sul tavolo per avere un’intesa” a livello di leader a fine mese, quando a Bruxelles si riuniranno i capo di Stato e di governo dei Paesi dell’Ue per cercare di riscrivere il regolamento di Dublino.
Finora intese non sono sembrare alla portata. Al contrario, sembra tramontata la possibilità di passi avanti. La Commissione però continua a fare pressione. Domani il commissario per il l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ospiterà i ministri degli Interni delle repubbliche balcaniche, mercoledì il presidente Jean-Claude Juncker incontrerà in Germania la cancelleria tedesca e il presidente francese per discutere con loro di come salvare faccia e tenuta dell’Ue, che sull’immigrazione si sta disunendo e dividendo sempre più.
I portavoce dell’esecutivo comunitario non si sbottonano più di tanto. Comprensibile, se si considera che c’è un processo in corso e non si vuole mostrare le carte in tavola. Meno comprensibile, quando si tratta di spiegare cosa prevedono le regole attualmente in vigore. L’Italia, in quanto Paese coordinatore delle operazioni di pattugliamento e soccorso in mare, può indicare il porto di sbarco di navi cariche di migranti. Ma cosa succede se il porto è in un Paese diverso dall’Italia e questo si rifiuta di far ormeggiare l’imbarcazione? La risposta fornita in Commissione è vaga. Non è una questione di competenza dell’esecutivo comunitario, e quindi sarebbe bene rivolgere altrove le proprie curiosità.
L’impressione è che il team Juncker cerchi di lavorare ad un accordo sull’immigrazione senza però irritare troppo i governi degli Stati membri, evitando di toccare i nervi scoperti e di entrare in argomenti tali da generare tensioni e alimentare divisioni. Tove Ernst, responsabile per il dossier, ricorda che la strategia dell’Ue contempla una migliore gestione delle frontiere e “politiche efficaci di rimpatrio”. Ricorda quindi gli elementi che piacciono a tutte le capitali: non si entra, e chi vi riesce va rispedito indietro.
“Non c’è alcuna intenzione di costruire un’Europa fortificata”, assicura la portavoce. Pochi giorni fa il team Juncker ha proposto di mettere sul piatto, nell’esercizio di bilancio 2021-2027, 34,9 miliardi di euro. Una parte di queste risorse intende rafforzare l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera portando a 10mila il numero delle guardie di frontiera. Tove Ernst, ancora una volta, si limita a dire che “vogliamo gestire in modo più efficiente e sicuro possibile” il flusso dei migranti e che “non si vuole una fortezza Europa”.
La Commissione europea, in sostanza, oscilla tra voglia di fare e paura di dire. Un atteggiamento che rispecchia la debolezza di un’istituzione comunitaria probabilmente anche guidata da persone non in condizione di gestire al meglio la situazione, almeno da un punto di vista di comunicazione pubblica.