Roma – Delle scuse sono arrivate dal presidente del Senato francese, ma nulla dal capo dello Stato Emmanuel Macron, che anzi rincara la dose nei confronti del governo italiano per la vicenda dei porti chiusi alla nave Acquarius dell’Ong Sos Méditerranée. Ieri, l’inquilino dell’Eliseo aveva definito “cinica e irresponsabile” la linea dell’esecutivo di casa nostra – e il portavoce di La République en Marche, Gabriel Attal, aveva addirittura usato il termine “vomitevole” – suscitando l’irritazione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il quale ha fatto trapelare che pretende delle scuse ufficiali per confermare la visita a Parigi in programma venerdì prossimo.
Dall’Eliseo fanno sapere che non è arrivata alcuna richiesta di scuse da Roma. Poi interviene il presidente per dire che “è da un anno che lavoriamo mano nella mano con l’Italia in maniera esemplare” sul fronte migratorio. “Abbiamo ridotto a un decimo gli arrivi, con un lavoro in Libia e nel Sahel”, dice un Macron apparentemente conciliatorio. In realtà non ha alcuna intenzione di porgere delle scuse e lo chiarisce. Di fronte a “chi provoca”, a “chi dice io sono più forte dei democratici e se vedo una nave arrivare davanti alle mie cosate la caccio via”, chiede retoricamente Macron, “se gli do ragione aiuto la democrazia? Non dimentichiamo chi ha parlato e con chi abbiamo a che fare”, dice il francese facendo una chiara allusione ai rapporti tra la Lega di Matteo Salvini e il Front national di Marine Le Pen. Più che scuse sembrano un colpo di grazia, che difficilmente aiuterà la riconciliazione dopo l’annullamento di un altro incontro bilaterale, quello previsto per oggi tra i ministri dell’Economia Giovanni tria e Bruno Le Maire. La risposta di Palazzo Chigi a Macron, tuttavia, tarda ad arrivare. Segno che la volontà di ricucire è più forte del risentimento? Sta di fatto che l’appuntamento è ancora in bilico anche dopo la telefonata – “cordiale” secondo la ministra per gli Afferi europei Nathalie Loiseau – che nella notte interviene tra Macron e Conte. Un gesto interpretato quale “primo segnale di disgelo” dal vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio.