Bruxelles – Non sono tanti, una cinquantina al massimo, quanto basta per occupare il piazzale che separa la Commissione europea dal Consiglio dell’Ue. Rappresentanti di un popolo non riconosciuto da nessuno degli Stati membri dell’Unione, a cui si chiede, una volta di più, di essere legittimati. La comunità saharawi invita all’Ue di rispettare leggi e diritti, ed in particolare la sentenza della Corte di giustizia dell’Ue che il 21 dicembre 2016 ha stabilito che il Sahara occidentale è un territorio “separato e distinto” dal Marocco, e che per questo motivo impone che gli accordi commerciali Ue-Marocco non possano applicarsi al Sahara occidentale senza il consenso del popolo saharawi. Ma a oggi niente è successo.
“E’ un messaggio pericoloso quello che sta mandando l’Unione europea”, riconosce Erik Hagen, membro del consiglio esecutivo di Western Sahara Resource Watch (Wsrw), la rete internazionale delle organizzazioni e degli attivisti che fanno pressione sulle imprese affinché cessino le loro attività in un territorio occupato illegalmente. “Si sta dicendo che democrazia e diritto non funzionano”.
Il 5 febbraio di quest’anno, denuncia l’attivista, la Commissione europea ha incontrato esponenti del Fronte Polisario, il movimento politico che lotta per l’indipendenza del Sahara Occidentale. “Ma non si è trattato di consultazioni”. L’esecutivo comunitario avrebbe in sostanza inserito il Fronte Polisario nella lista dei soggetti ascoltati per prendere le sue decisioni in materia commerciale, così da aggirare l’ostacolo rappresentato dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Ue. La verità, sostiene, è che a Bruxelles si sarebbe dato credito a esponenti marocchini proveniente dai territorio controllati dal governo di Rabat.
“La Commissione europea dice di agire in nome del benessere delle comunità locali”. Una logica tipica dei colonialisti che nel passato europeo presero controllo dell’Africa, Italia compresa, con la pretesa di ‘civilizzare’ popoli ritenuti non al passo coi tempi e non capaci di aiutarsi da sé. “Saraha occidentale, ultima colonia in Africa” è, non a caso, uno degli striscioni esposti dal popolo saharawi davanti alle istituzioni Ue. “Non finisce qui”, promette Hagen, ma è difficile capire quando finirà la storia di un conflitto ignorato.
La questione del Sahara occidentale
Nel 1976 la Spagna si ritira dal Sahara occidentale, Da allora iniziano rivendicazioni ancora tutte da risolvere. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha stabilito che il Sahara Occidentale debba essere libero di decidere del proprio futuro. Nel 1991 una missione di pace (Minurso) è stata incaricata di aiutare a tenere un referendum, che a oggi non si è mai tenuto. La Francia, con seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e potere di veto, blocca ogni tentativo di passo avanti. Le ragioni sono economiche e geo-politiche. Fino al 2015 il colosso petrolifero transalpino, Total, ha goduto di diritti di prospezione al largo delle coste del Sahara occidentale, nella parte considerata marocchina da Rabat e reclamata come propria dalle autorità Saharawi. In nome di questi diritti la Francia ha svenduto la causa Saharawi, che non intende abbracciare neppure dopo la rinuncia di Total a esplorare i fondali del Sahara occidentale. Parigi teme che disimpegnarsi nel territorio possa permettere all’Algeria di giocare un ruolo nel controllo dell’area.
Gli interessi degli Stati membri
I primi ad avere interessi in gioco sono proprio gli spagnoli. Gli accordi di Madrid del 1976 firmati con il Marocco, garantirono alla corona spagnola una serie di concessioni economiche, tra le quali i diritti di pesca lungo la costa del Sahara occidentale. Sposare la causa sarahwi vorrebbe dire rimettere in discussione questi accordi, e riaccendere le pretese marocchine su Melilla.
Italia e Germania hanno buone ragioni economiche per abbandonare la Repubblica araba democratica di Saharawi (Sadr) al proprio destino. Un consorzio di aziende guidato dalla società tedesca Siemens, associata all’italiana Enel Green Power e alla società marocchina Nareva (di proprietà del re) si è aggiudicato la commessa per la realizzazione di cinque parchi eolici, due dei quali a Boudjour e Tiskrad, località nel territorio controllato dal Marocco ma oggetto di dispute e contese. Nel 2020, con i nuovi parchi eolici previsti per Boudjour, il 40,3% della produzione di energia verde del Marocco proverrà dai territori illegalmente occupati. C’è di più. L’azienda britannica Windhoist è coinvolta nell’installazione di 56 turbine Siemens.
La lista è lunga, e ci sono sempre Italia e Germania. A pochi chilometri da El Aaiún, la capitale reclamata della Sadr, una filiale di HeidelbergCement gestisce un impianto di produzione di cemento. L’impianto è di proprietà di Ciments du Maroc (Cimar), che a sua volta appartiene alla multinazionale tedesca attraverso una controllata italiana, Italcementi.
Ci sono anche i Paesi Bassi ad avere interessi nei territori contesti. Transavia, la compagnia olandese low-cost del gruppo AirFrance-KLM, ha annunciato l’apertura di una rotta tra Parigi e Dakhla, città per l’appunto nel Sahara occidentale controllato dal Marocco. Il Fronte polisario ha annunciato ricorso alla Corte di giustizia dell’Ue per questo.
Non ci sono solo i principali Stati membri dell’Ue a fare campagna-acquisti in Sahara occidentale. Nel 2015 il governo marocchino ha bloccato l’apertura di Ikea a Casablanca, in un’operazione intesa a fare pressione anche sul governo svedese, da sempre attento al rispetto di libertà fondamentali e diritti civili.
L’11 settembre come pietra tombale sulla questione
Dopo gli attacchi alle torri gemelle gli Stati Uniti fecero del Marocco un partner strategico nella lotta al terrorismo islamico. Inutile chiedere cosa Rabat chiese in cambio della cooperazione, tra le varie condizioni. Gli Stati europei, allora alleati veri dell’America, non poterono fare a meno di schierarsi con il partner transatlantico nella lotta al terrore, e anch’essi avviarono politiche di cooperazione in materia di anti-terrorismo con il regno nordafricano.
Le leve marocchine sull’Europa
Oggi l’anti-terrorismo è uno dei punti di forza del Marocco nelle sue relazioni con l’Europa quando si parla di Sahara occidentale, a cui si aggiunge l’immigrazione. Prese di posizione a favore della causa saharawi possono indurre la monarchia nordafricana ad allentare i controlli. Vuol dire permettere ai migranti di raggiungere le extra-clave spagnole di Ceuta e Melilla, e non pattugliare le acque come si impegna a fare. Posizioni troppo filo-Fronte Polisario sono oggetto anche di ripercussioni nella cooperazione bilaterale nel contrasto al terrorismo. Anche in questo caso i soggetti potenzialmente pericolosi verrebbero lasciati liberi di muoversi per andare a colpire l’Europa. Rabat dispone dunque di vere e proprie leve sensibili da usare per scardinare eventuali resistenze dell’Ue, tenuta sotto scacco. Dinamiche che sembrano condannare una volta di più il popolo Saharawi e la sua repubblica, peraltro mai riconosciuta dagli europei.