Pochi si saranno chiesti per quale ragione la piattaforma Rousseau con cui l’azienda Casalegno controlla il Movimento 5 Stelle sia intitolata al grande filosofo francese. Jean-Jacques Rousseau ha la reputazione di progressista, devoto alla ragione e nemico del pregiudizio. Ma il suo pensiero è invece all’origine dei più feroci totalitarismi della storia, come dimostra il pensatore Isaiah Berlin nel suo famoso saggio “La libertà e i suoi traditori”. Il pensiero politico sociale alla fine gira sempre attorno all’eterna questione di come conciliare il desiderio di libertà proprio degli uomini con la necessità dell’autorità e delle regole per il vivere sociale.
Per Rousseau la libertà è un valore assoluto, un vero e proprio attributo dell’uomo e non c’è nulla che possa legittimamente limitarla. Ma il filosofo ginevrino influenzato dal calvinismo pensa anche che ci sia un modo giusto di vivere e uno sbagliato e che scopo dell’uomo non sia la felicità ma il giusto vivere definito da leggi morali assolute. Rousseau detesta gli intellettuali, aborrisce la cultura e crede che esista un bene naturale espresso dall’uomo semplice, portatore di una saggezza istintiva. Da quest’uomo emana la regola del giusto vivere che deve governare il comportamento dell’individuo. “Tutte le regole del diritto naturale sono incise nei cuori degli uomini meglio che in tutti i guazzabugli di Giustiniano”, scrive Rousseau. Ma allora dove va a finire la libertà individuale se la limitiamo con delle regole, seppur considerate giuste? Ci troviamo di fronte a un paradosso.
Abbiamo due valori assoluti: la libertà e le regole. È qui che Rousseau inventa un ragionamento filosofico rivoluzionario che ispirerà tutte le grandi dittature, come scrive Berlin. Se l’uomo desidera e sceglie liberamente quel che reputa essere un bene per lui, ecco che sarà tutelata sia la sua libertà sia la regola morale. E qui sta il passaggio verso il totalitarismo, come scrive Berlin: “Se il nostro problema è come un uomo possa essere a un tempo libero e in catene, diremo che se le catene le ha scelte lui stesso perché in questa scelta si esprime la sua natura, la sua libertà allora non saranno più catene. Un uomo che si è incatenato da sé non è un prigioniero”. Così doveva ragionare Stalin e così fanno i 5 Stelle quando si conformano alle regole di Casalegno, quando abdicano al loro pensiero individuale in nome di un pensiero collettivo superiore, applicando nella pratica l’idea della volontà generale sviluppata da Rousseau con il concetto di contratto sociale. Del resto questa è anche la loro formula di governo: un contratto, non un programma.
Questa volontà generale diventa così lo Stato in un senso molto simile ad una Chiesa, dove l’individuo perde la propria personalità per ritrovarla solo attraverso il filtro di chi vuole quel che è giusto per lui. Così dalla divinizzazione della libertà assoluta Rousseau finisce gradatamente con l’arrivare alla nozione di un assoluto dispotismo. Il filosofo francese non poté essere più chiaro quando disse che la società “ha il diritto di costringere gli uomini a essere liberi”. Una linea di pensiero molto pericolosa, che riduce la libertà a concessione e che coincide alla perfezione con l’ideologia pentastellata che nasce dalla delusione dello Stato liberale e dei suoi meccanismi rappresentativi, dalla sfiducia nell’individuo nella convinzione che integrità e onestà non possano esistere per libera scelta. Una concezione della politica che vede con sospetto la cultura, fonte di sofisticazione e quindi di degenerazione. Non è un caso che il discorso di Giuseppe Conte alle Camere non abbia mai menzionato la cultura.
In fin dei conti, una visione del cittadino che ricorda più un condannato in libertà vigilata che un uomo libero, autonomo, consapevole e capace delle proprie scelte grazie a istruzione e cultura. Scriveva ancora Rousseau:”Gli uomini non sanno quello che vogliono e quindi volendolo per conto loro noi gli diamo ciò che in un modo occulto essi stessi vogliono”. Questa è la missione che deve essersi dato il Movimento 5 Stelle per noi.