Bruxelles – Grande passo avanti per i diritti delle coppie omosessuali nell’Unione europea. Martedì 5 giugno, i giudici della Corte europea di Giustizia hanno stabilito che la legge europea che permette la libertà di soggiorno dei cittadini Ue e dei loro familiari, vale anche per i coniugi dello stesso sesso.
Secondo quanto deciso dai giudici del Lussemburgo, a prescindere dalla legalità o meno del matrimonio omosessuale sul loro territorio, gli Stati non non potranno impedire, al partner extraeuropeo di un cittadino europeo, entrambi dello stesso sesso, il diritto di soggiorno permanente sul loro territorio.
“Anche se gli Stati membri sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale – ha spiegato la Corte – essi non possono ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell’Unione rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di un Paese non Ue, un diritto di soggiorno derivato sul loro territorio”.
Si arriva così a una svolta, nell’Ue, per le cosiddette “famiglie arcobaleno”, che si trovano spesso in limbi giuridici per via delle differenze tra le legislazioni nazionali in merito alle unioni di persone dello stesso sesso, nonostante l’Unione fornisca protezione contro la discriminazione sessuale e consenta la libertà di movimento.
La sentenza si riferisce alla vicenda, iniziata nel 2012, del cittadino rumeno Adrian Coman e del suo partner Robert Clabourn Hamilton, che si erano sposati a Bruxelles in seguito a una una convivenza negli Stati Uniti durata quattro anni.
Nel dicembre 2012 la coppia aveva richiesto alle autorità rumene informazioni sulle procedure attraverso le quali Hamilton potesse ottenere, in quanto familiare di Coman, il diritto di soggiornare legalmente in Romania per un periodo superiore a tre mesi.
La direttiva relativa all’esercizio di libertà di circolazione permette, infatti, al coniuge di un cittadino dell’Unione di raggiungere quest’ultimo nello Stato membro in cui soggiorna.
Ma le autorità rumene si erano opposte, obiettando che in Romania i matrimoni tra le persone dello stesso sesso non sono riconosciuti, e avevano decretato che cittadino statunitense godesse di un diritto di soggiorno di soli tre mesi.
I due avevano così presentato ricorso, puntando il dito contro la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, per quanto riguarda l’esercizio del diritto di libera circolazione nell’Unione, della corte rumena.
Ma la Corte di Bucarest, la cosiddetta Curtea Constitutionala, aveva interpellato i giudici del Lussemburgo per chiedere se il cittadino statunitense rientrasse nella nozione di “coniuge” e potesse quindi ottenere di conseguenza la concessione di un diritto di soggiorno permanente in Romania.
La Corte, si legge nella sentenza, “constata che, nell’ambito della direttiva relativa all’esercizio della libertà di circolazione, la nozione di ‘coniuge’, che designa una persona unita ad un’altra da vincolo matrimoniale, è neutra dal punto di vista del genere e può comprendere quindi il coniuge dello stesso sesso di un cittadino dell’Unione”.
Rifacendosi anche alla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, i giudici hanno deciso che “una misura nazionale idonea ad ostacolare l’esercizio della libera circolazione delle persone può essere giustificata solo se è conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.
E, secondo l’articolo 7 della Carta, la relazione che lega una coppia omosessuale può rientrare nella nozione di “vita privata”, e di “vita familiare”, come la relazione che lega una coppia di sesso opposto che si trovi nella stessa situazione, e va, quindi, tutelata.
“Ora possiamo guardare negli occhi di qualsiasi funzionario pubblico in Romania e in tutta l’Ue con la certezza che il nostro rapporto sia ugualmente valido e ugualmente rilevante ai fini della libera circolazione all’interno dell’Ue”, ha commentato Adrian Coman questa mattina.
“Siamo grati alla Corte Ue e alle molte persone e istituzioni che hanno sostenuto noi, e, attraverso di noi, altre coppie dello stesso sesso in una situazione simile: è la dignità umana che vince oggi” ha aggiunto il cittadino rumeno.
Grande soddisfazione è stata espressa anche da diverse Ong e associazioni che si battono per i diritti omosessuali, per la portata della sentenza e le ripercussioni che essa avrà.
“L’uguaglianza, l’equità e il pragmatismo erano al centro del verdetto odierno del Lussemburgo” ha dichiarato Evelyne Paradis, direttore esecutivo di ILGA-Europe, quando la decisione è stata annunciata.
La Corte di Giustizia, ha spiegato Paradis, “ha confermato che le famiglie arcobaleno dovrebbero essere riconosciute allo stesso modo agli occhi della legge sulla libertà di circolazione. Ora vogliamo vedere le autorità rumene muoversi rapidamente per rendere questa sentenza una realtà”.
La sentenza, ha commentato Arpi Avetisyan, dell’Ilga-Europe Litigation Officer, che ha seguito da vicino il caso, “aumenterà la protezione legale e la certezza per le coppie dello stesso sesso – qualcosa che non dovrebbe essere sottovalutato”.
“Questa chiarezza sarà avvertita non solo dalle coppie in Romania, ma in tutta l’Ue, mettendo in evidenza il potere delle controversie strategiche e la duratura rilevanza dell’UE e delle sue leggi nella vita delle persone”.
Romanita Iorda che è la vicepresidente dell’associazione Accept per i diritti degli omosessuali e membro del team legale, ha dichiarato: “Oggi Adrian, Clai e Accept hanno vinto una grande vittoria per le coppie dello stesso sesso in tutta Europa. Da questo momento in poi, tutte le norme dell’UE che si applicano ai coniugi” verranno applicati “nello stesso modo a tutte le famiglie dello stesso sesso”.
“Le autorità rumene – ha aggiunto Iorda – hanno ora l’obbligo di rispettare la decisione della CGUE e garantiscono diritti di residenza e un riconoscimento minimo per tutte le famiglie dello stesso sesso in una situazione simile”.
L’omosessualità è stata depenalizzata in Romania nel 2000, ma, secondo gli attivisti Lgbti, l’avversione contro le coppie dello stesso sesso rimane elevata.
Nella sentenza, i giudici ricordano ad ogni modo la decisione non incide sulla competenza degli stati a decidere sulle norme relative al matrimonio – e allo stato civile delle persone – e che, quindi, gli Stati rimangono comunque liberi di prevedere o meno il matrimonio omosessuale.
“L’obbligo per uno Stato membro di riconoscere, ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non-Ue, un matrimonio omosessuale contratto in un altro Stato membro” non “impone a detto Stato membro di prevedere, nella sua normativa nazionale, l’istituto del matrimonio omosessuale”, ha decretato la corte.