Bruxelles – Il Tribunale dell’Ue ha deciso il 31 maggio che è lecito, per un eurodeputato, affermare che le donne guadagnano meno degli uomini perché sono “più deboli, più piccole e meno intelligenti” e che i migranti siano “spazzatura umana che non ha voglia di lavorare”, perché il diritto alla libertà di espressione ha un ruolo fondamentale nelle società democratiche.
Con una sentenza destinata a far discutere, i giudici dell’organismo di giustizia lussemburghese hanno accolto il ricorso dell’europarlamentare polacco Janusz Korwin-Mikke – leader del partito polacco liberista ed euroscettico “Coalizione per il Rinnovo della Repubblica Libertà e Speranza” – contro le sanzioni che il Parlamento europeo gli aveva imposto per le infelici dichiarazioni che il deputato aveva fatto ripetutamente presso il Parlamento europeo.
Il motivo, secondo il Tribunale, è quello che “malgrado il carattere particolarmente scioccante delle dichiarazioni rilasciate dal sig. Korwin-Mikke”, queste non costituiscono motivo di scompiglio per il funzionamento dell’attività del Parlamento e che, quindi, non siano un motivo sufficiente per sanzionare il deputato.
Secondo il regolamento interno del Parlamento, infatti, solo le “infrazioni all’ordine o di turbativa dell’attività del Parlamento” costituiscono un motivo per applicare provvedimenti disciplinari.
Il Tribunale dell’Ue ha anche evidenziato che “libertà di espressione, che occupa un ruolo cruciale nelle società democratiche e costituisce, in tal senso, un diritto fondamentale” vada garantita, e, anzi, “che alla libertà di espressione dei parlamentari debba essere garantita una tutela rafforzata tenuto conto dell’importanza fondamentale che il Parlamento riveste in una società democratica”.
I giudici, tuttavia, hanno rigettato “la totalità” di richieste di risarcimento che Korwin-Mikke aveva presentato nei suoi ricorsi.
Nel marzo 2017 il Parlamento europeo aveva vietato a Korwin-Mikke di rappresentare il Parlamento per un periodo di un anno, dopo aver già imposto al deputato polacco altre sanzioni nel luglio del 2016, come la perdita del suo diritto all’indennità di soggiorno e la sospensione della sua partecipazione a tutte le attività del Parlamento eccetto diritto di voto in plenaria – entrambe le misure temporanee.
Korwin-Mikke aveva successivamente presentato, il 2 novembre 2016 e il 2 giugno 2017, due ricorsi dinanzi al Tribunale dell’Unione europea per chiedere l’annullamento di tali decisioni e il risarcimento dei danni patrimoniali e morali da esse provocati.
Con la sentenza di oggi, che, probabilmente, solleverà polemiche, i giudici hanno di fatto stabilito che un rappresentate del popolo possa liberamente esprimersi in termini razzisti, sessisti o xenofobi, senza, per questo, venir sanzionato.
La sentenza si inserisce nell’ambito del sempiterno dilemma delle società occidentali, in merito a dove finisca la libertà di espressione dell’individuo quando questa leda i diritti fondamentali.
Ossia quale sia il confine, sfumato e incerto, tra quello che sia lecito dire e quello che non lo sia, soprattutto quando chi lo dice è un personaggio pubblico, o qualcuno che può influenzare altri, soprattutto in un momento storico nel quale nell’Ue i partiti xenofobi godono di una certa popolarità.
A tal proposito si era espresso recentemente, durante l’audizione all’ideatore di Facebook Mark Zuckerberg al Parlamento europeo, il presidente del Partito Popolare europeo Martin Weber parlando dell’incitamento all’odio e al razzismo su Facebook.
Riferendosi alle modalità – relativamente lasche – con le quali Facebook attua la sua censura aveva affermato: “In Europa e negli Stati Uniti ci sono sensibilità diverse”, nell’Ue la “glorificazione dei nazisti è inaccettabile”, mentre in America c’è un altro modo di intendere “la libertà di espressione”.