Roma – La crisi istituzionale aperta dopo dallo stop del capo dello Stato Sergio Mattarella al governo M5s-Lega è figlia anche dell’incompiutezza dell’Unione europea. Al netto dei calcoli elettorali che possono aver indotto il segretario della Lega Matteo Salvini a forzare la mano per farsi dire di no, lo scontro che ha portato il leader 5 stelle Luigi Di Maio a paventare addirittura la messa in stato d’accusa del presidente, nasce da due nodi scorsoi in cui l’Ue ha la testa infilata: la questione della sovranità monetaria e l’assenza di una dimensione sociale della cittadinanza europea.
Sono queste due contraddizioni ad aver legato il Nord e il Sud del Paese nell’euroscetticismo espresso dal voto del 4 marzo scorso. La prima, relativa alla costruzione dell’euro, è forse la madre di tutti i rischi per la sopravvivenza dell’Eurozona, unico agglomerato di Stati la cui sovranità monetaria è affidata a una Banca centrale che non compra direttamente il loro debito.
È un problema riconosciuto dallo stesso Mattarella. Il presidente si è opposto a un ministro delle finanze come Paolo Savona – convinto della necessità di elaborare un piano di uscita dall’euro da usare in caso di necessità, ovvero se non si cambiano le regole – per “tutelare il risparmio degli italiani” messo in pericolo dall’impennarsi dello ‘spread’, la differenza di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. Il paradosso è che lo spread, il mostro che minaccia i risparmi, avrebbe la museruola e il guinzaglio se la Bce fosse prestatrice di ultima istanza. Se l’Istituto di Francoforte acquistasse direttamente dagli Stati i titoli che oggi acquista sul mercato secondario con il quantitative easing, i tassi di interesse sarebbero al riparo dalle speculazioni. È su questo che lo stesso Mattarella invitava garbatamente l’Ue a riflettere, intervenendo alla Conferenza sullo Stato dell’Unione a Firenze, quando sottolineava “l’innegabile ruolo svolto dalla Bce” a dispetto proprio mandato.
La questione è molto delicata, perché i Paesi più ‘virtuosi’ sotto il profilo del debito pubblico, Germania in testa, ritengono il meccanismo attuale li tuteli da una spesa pubblica incontrollata da parte di quelli più ‘spendaccioni’. Il problema della sovranità monetaria però esiste. E se la risposta non può essere un ritorno a valute nazionali, perché vorrebbe dire rinunciare anche ai benefici e alle potenzialità della moneta unica, il difetto va corretto attribuendo a istituzioni politiche sovranazionali una sovranità monetaria ormai anch’essa sovranazionale. Solo un ministero del Tesoro europeo, sottoposto al controllo del Parlamento europeo – o di un Parlamento dell’Eurozona finché la moneta unica non sarà adottata da tutti i 27 – e con una Bce prestatrice di ultima istanza, possono sanare il vulnus del controllo della politica monetaria.
Lo stesso percorso deve poi riguardare le politiche fiscali. Anche su questo fronte serve un’integrazione maggiore per evitare una concorrenza tra Stati giocata sui diritti sociali. Su questo terreno l’Ue deve dare risposte in grado di tradurre concretamente gli ambiziosi obiettivi che si è data con la dichiarazione di Goteborg sul Pilastro sociale. Solo così i cittadini europei continueranno a percepire l’utilità di essere parte dell’Ue, di un disegno di progresso comune.
Il governo M5s-Lega avrebbe portato sui tavoli europei proprio le questioni della moneta e del fisco – oltre a quella dell’immigrazione –. Su alcuni aspetti avrebbe suggerito soluzioni per alcuni discutibili e per altri addirittura insensate, ma avrebbe aperto un dibattito che l’Ue deve affrontare, anche in modo aspro se serve, se vuole davvero rimuovere i pericoli che minano il percorso di integrazione.