Bruxelles – La Brexit può determinare l’automatica perdita del posto di lavoro per il personale di nazionalità britannica attualmente all’interno delle istituzioni comunitarie. Più che un rischio, secondo le regole che disciplinano il personale comunitario. Erwig Hofmann, professore dell’università di Lussemburgo, ha redatto da tempo uno studio per conto della commissione Giuridica del Parlamento europeo in cui sottolinea il rischio per i britannici in forza in Consiglio, Commissione e Parlamento, e la conclusione del suo documento è chiara: ci saranno perdite di personale.
I trattati sul funzionamento dell’Ue non si esprimono sulla questione dello staff. Le modalità di assunzione sono determinate da due diversi testi legali, lo statuto dei funzionari e il regime applicabile agli altri agenti dell’Unione europea (Raa). I due testi operano una distinzione tra ‘funzionari’ e ‘agenti’, trattati in maniera diversa anche se l’articolo 28 dello Statuto stabilisce il requisito della cittadinanza europea come condizione per la nomina a funzionario.
Essere un cittadino dell’Ue, dunque è un prerequisito per poter lavorare nelle istituzioni comunitarie, e l’uscita del Regno Unito dall’Unione mette a rischio i 406 funzionari britannici in forza in Parlamento e i 917 impiegati in Commissione.
In caso di Brexit, rileva il giurista lussemburghese nel suo studio, l’impiego di funzionari dell’Ue di nazionalità britannica “può cessare in base alle norme dello statuto”. Viceversa, i contratti di assunzione di agenti dell’Ue di nazionalità britannica “cessano automaticamente nel caso di perdita della cittadinanza dell’Unione indotta dalla Brexit”.
Non tutto è perduto, però. Ci sono eccezioni alle regole, e in tal senso le istituzioni Ue dovrebbero informare il loro personale di nazionalità britannica. Sia i funzionari sia gli agenti del Paese in corso di abbandono dell’Ue, hanno il diritto di chiedere una decisione delle loro autorità che hanno il potere di nomina per un’eccezione all’obbligo di detenere la cittadinanza di uno Stato membro dell’Ue. E’ l’autorità che ha il potere di nomina ha facoltà di decidere se concedere tale eccezione.
E’ convinzione del giurista che in ogni caso “l’Ue dovrebbe raggiungere un accordo con i suoi Stati membri per concedere diritti di residenza agli ex membri del personale dell’Ue e alle loro famiglie” in modo da riprodurre i diritti previsti dal protocollo 7 allegato ai Trattati. In tale protocollo si stabilisce (articolo 12) che “sul territorio di ciascuno Stato membro e qualunque sia la loro cittadinanza, i funzionari ed altri agenti dell’Unione:né essi né i loro coniugi e i familiari a loro carico, sono sottoposti alle disposizioni che limitano l’immigrazione e alle formalità di registrazione degli stranieri”.
Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha chiesto di recente al primo ministro belga di concedere la cittadinanza al personale britannico da anni al servizio delle istituzioni Ue e, soprattutto, da anni su suolo belga per il loro lavoro.