Bruxelles – Dice che “non c’è bisogno di creare nuove narrative”, ma per raccontare l’Europa di oggi il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, sceglie un linguaggio di metafore, allusioni, messaggi tra le righe. Un linguaggio politico carico di significati, per chi sa ascoltare e intendere. “Le cose si muovono ma non sappiamo in che direzione, ed è ancora così”. Il primo di una serie di espressioni sibilline, ma poi non così tanto. Ci sono i populismi che avanzano, c’è la maggioranza degli europei che è contro l’establishement, e delle elezioni europee vicine, forse troppo vicine per avere il tempo di invertire la rotta.
Già, la rotta. Se non si sa verso quale direzione naviga l’Europa di oggi è perché forse mancano timonieri capaci e capitani coraggiosi. E gli strumenti adeguati. “Non è il vento che stabilisce la direzione, è la vela. Abbiamo vento a sufficienza, ma non abbiamo vele”. Facile intuire a cosa e a chi si riferisca Juncker con il suo paragone di mare. I leader degli Stati membri, i capi di Stato e di governo sempre più incapaci di prendere le decisioni che servirebbero. L’impossibilità di avere un accordo sull’immigrazione, gli impegni finanziari presi con l’Africa e i contributi nazionali ancora mancanti. Di fronte agli stimoli che pure ci sono per procedere, l’Europa arretra o nel migliore dei casi prova a galleggiare nelle acque dell’inazione.
Ci sono la paura e lo smarrimento diffusi per un fenomeno che non si è compreso e che si continua a non comprendere. Nella difficoltà della sua gestione, si fa poco per cercare di scontentare ulteriormente una cittadinanza europea che sta voltando sempre di più le spalle agli attori di sempre. Il presidente della Commissione Ue non fa tragedie. Al contrario ci scherza su. “In Lussemburgo l’ultima volta i sondaggi dicevano che ero un buon primo ministro…” Era il 2013, il partito di Juncker risultò il più votato ma lui non andò al governo. Logiche di maggioranza e democrazia, e un modo per dire che “i sondaggi mentono”.
Di fronte a quanti criticano questa Europa Juncker non intende ricorrere a chissà quali iniziative, vuole percorrere la semplice via della memoria. “Non dobbiamo creare nuove narrative. Narrativa e storia sono già lì. Dobbiamo chiedere agli europei di ricordare la loro storia, non la loro storia personale ma quella delle loro Nazioni”. Chi è stato attento sa che l’assenza di un progetto comune ha condotto a morte e distruzione, e che da esse, grazie a quell’idea di vivere comune, sono giunti oltre 70 di pace. Ma c’è chi qualcuno la lezione non l’ha capita, o l’ha dimenticata. Allora forse può aiutare il presente, e il futuro che rischia di derivarne.
L’Europa, ragiona Juncker, invecchia. Perde in forza lavoro e in ricchezza economica. Tutto questo mentre il resto del mondo cresce in benessere e in popolazione. Il cammino è segnato. “Siamo un continente piccolo, stiamo vivendo un declino demografico”. Di questo passo “non un singolo Stato membro dell’Ue farà parte del G7 tra vent’anni, quindi è bene essere modesti” e uniti. E soprattutto non rincorrere i populisti. “Non bisogna seguire le opinioni pubbliche, ma ispirarle”.