Di Nathalie Tocci, Thomas Gomart, Daniela Schwazer, Robin Niblett
La decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di ritirarsi dal Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa),l’accordo sul nucleare iraniano siglato nel 2015, avrà gravi conseguenze anche sulla sicurezza regionale e globale. L’annuncio di Trump ha infatti aumentato i rischi di guerra e di nuova corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente e non solo, pregiudicando al tempo stesso tutti gli sforzi della diplomazia multilaterale per dotare il mondo di un regime di non-proliferazione nucleare.
La scelta dell’amministrazione americana di abbandonare unilateralmente l’accordo sul nucleare iraniano costituisce infatti una mancata ottemperanza di una risoluzione giuridicamente vincolante del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e – politicamente – un rifiuto stesso del ruolo dell’Onu quale arbitro della pace e della sicurezza internazionali, e del diritto come perno delle relazioni internazionali.
I passi che gli europei compiranno adesso avranno gravi conseguenze anche sul piano della loro alleanza con gli Stati Uniti, sulla sicurezza mediorientale e persino sulle relazioni con Cina, Russia e resto del mondo.
I rischi di una caduta del regime di Teheran
Sull’Iran, il fronte E3/Ue (composto dal terzetto Francia-Germania-Regno Unito e dall’Unione europea) ha interessi divergenti rispetto a quelli degli Usa di Trump. Oltre alle considerazioni di politica interna che ne indirizzano le scelte, infatti, il presidente americano auspica un cambio di regime a Teheran e il prevalere, negli equilibri regionali, di Israele e Arabia Saudita sull’Iran e sui suoi partner.
Per Trump, l’accordo sul nucleare iraniano è un “pessimo accordo” semplicemente perché non rende possibile un tale obiettivo. Al contrario, affossarlo in modo da impedire all’Iran di reintegrarsi nella comunità internazionale consente di esercitare la massima pressione economica e politica su Teheran, sino a potenzialmente provocare la caduta del regime. Alla luce di quanto abbiamo visto accadere in Iraq a partire dal 2003, si tratta di una linea d’azione estremamente pericolosa per la regione, ma anche per l’Europa.
Da quando, nell’ottobre scorso, Trump ha decertificato l’accordo sul nucleare, il terzetto Francia-Germania-Regno Unito ha cercato in tutti modi di convincere Washington a rimanere parte dell’intesa, discutendo con l’amministrazione americana del modo migliore per limitare il programma iraniano di missili balistici e il ruolo regionale di Teheran. Tuttavia, tentare di moderare Trump si è rivelata una causa persa: non solo per le idee dell’inquilino della Casa Bianca, ma anche perché ogni qualsivoglia accordo con l’Iran comporta il conferimento di un certo grado di accettazione e legittimità da parte degli Stati Uniti alla Repubblica islamica, un anatema per molti in America, così come per lo staff di falchi in politica estera che oggi è saldamente al timone dell’amministrazione di Washington.
L’interesse Ue ad evitare la corsa agli arsenali
Al contrario, gli europei hanno un interesse strategico nella difesa del Jcpoa, vista la sua funzione di asse portante contro il rischio di un’ulteriore proliferazione nucleare in Medio Oriente. A dirla tutta, l’obiettivo è strategicamente condiviso tanto dagli europei quanto dagli americani; tuttavia, come questo possa essere raggiunto anche attraverso l’accordo sul nucleare iraniano è interpretato in maniera molto diversa nel Vecchio continente e negli Stati Uniti. La questione è ora come il terzetto Parigi-Berlino-Londra e l’Unione europea tutta utilizzeranno questa contingenza per la promozione dei propri obiettivi e delle proprie strategie.
Ironia della sorte, siamo tornati di colpo al 2003, quando l’invasione statunitense dell’Iraq fornì all’Europa un assist per negoziare con il governo iraniano la fine di quella che era allora un programma nucleare clandestino. Gli europei devono adesso sfruttare l’occasione fornita dal ritiro unilaterale di Trump dal Jcpoa per cercare di raggiungere quelli che sono autentici obiettivi transatlantici ed europei: il contenimento del programma di missili balistici dell’Iran, la riduzione degli impegni politico-militari di Teheran in Siria, Libano e Yemen e la sicurezza regionale di Israele.
A differenza dell’amministrazione Trump, le istituzioni e i governi europei non vedono il rischio che una parte possa sopraffare l’altra, nel quadro della destabilizzazione regionale mediorientale. Anzi, la gran parte di loro ritiene semmai che i semi di un ordine regionale improntato alla cooperazione risiedano in un equilibrio di poteri in cui nessun attore sia escluso. Soltanto con il raggiungimento di questa sorta di equilibrio regionale, gli europei potranno sperare di affrontare anche i loro interessi securitari, dalla sconfitta del terrorismo jihadista – anzitutto del sedicente Stato islamico – al contenimento della corsa agli arsenali a livello regionale.
Ciò implica che il fronte E3/Ue dovrà lavorare con i restanti membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Russia e Cina) e con l’Iran per tenere in vita l’accordo, come annunciato in un incontro con il ministro degli Esteri iraniano Zarif nei giorni scorsi.
Non solo: istituzioni e governi d’Europa dovranno anche occuparsi di tutelare gli investimenti commerciali europei in Iran. Nessuna di queste misure potrebbe, d’altra parte, essere interpretata come una forma di aiuto a un programma nucleare iraniano di carattere militare e non civile, condizione che per Trump porterebbe a serie ritorsioni da parte degli Usa.
Una nuova prova per le due sponde dell’Atlantico
L’Europa e gli Stati Uniti hanno già vissuto momenti difficili ma sempre trovato una via d’uscita. Quando il terzetto E3 e l’Ue per la prima volta avviarono i colloqui con l’Iran sul programma nucleare della Repubblica islamica, nel 2003, ad esempio, l’allora amministrazione Usa guidata da George W. Bush si oppose fermamente all’iniziativa europea. Col tempo, l’incontrovertibile verità relativa al programma di arricchimento nucleare ha imposto anche agli occhi di Washington la necessità di perseguire una soluzione diplomatica. In questo quadro, l’aver posto le basi per la firma del Jcpoa è probabilmente il più grande successo ottenuto finora dall’Europa in politica estera.
Ma proprio perché l’America è ben più del suo presidente, è fondamentale che adesso gli europei difendano l’accordo sul nucleare iraniano, preservando così anche questo ponte verso gli Stati Uniti, se e quando essi decideranno di ritornare sulla via della diplomazia multilaterale.
Se l’Europa ha l’ambizione di diventare strategicamente autonoma dagli Stati Uniti, lottare perché il Jcpoa rimanga in piedi è il punto di partenza. L’Unione europea sarà in grado di coinvolgere nuovamente gli Stati Uniti solo se svilupperà la propria strategia e dimostrerà di essere in grado di agire sulla base dei propri interessi. In definitiva, interessi e valori che uniscono le due sponde dell’Atlantico sono abbastanza forti da riuscire a resistere anche a questa dura prova.
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