Bruxelles – Nonostante l’incoraggiamento che i leader europei hanno espresso ai Paesi dei Balcani occidentali per proseguire il cammino delle riforme orientate all’Ue, non sembra ci sia molto spazio per un ingresso imminente dei 6 Paesi nel blocco, secondo quanto è emerso al summit di Sofia del 17 maggio.
La dichiarazione finale del summit, la “Sofia Declaration”, menziona chiaramente il supporto dell’Ue verso una “prospettiva europea dei Balcani Occidentali” e annovera, nell’agenda, una serie di punti che riguardano la connettività e aspetti culturali.
“Oggi abbiamo riaffermato il nostro impegno reciproco per la prospettiva europea per l’intera regione”, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk al termine del summit.
“Abbiamo discusso su come migliorare i collegamenti con e all’interno della regione dei Balcani occidentali – ha aggiunto Tusk – ovvero le connessioni umane, economiche, digitali e infrastrutturali”.
Ad esempio, ha continuato il Presidente del Consiglio Ue, “abbiamo concordato di raddoppiare Erasmus+ per consentire a un maggior numero di giovani di studiare nell’UE”, di lavorare “per l’abbassamento delle tariffe di roaming” e di cercare di “creare condizioni più favorevoli per gli investimenti privati fornendo migliori garanzie bancarie.”
Nella dichiarazione finale, tuttavia, è mancata da parte dei capi di Stato e governo dell’Ue un impegno chiaro per un ingresso in tempi brevi di Serbia, Montenegro, Macedonia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo.
Secondo la “Strategia europea per i Balcani occidentali”, diffusa dalla Commissione europea lo scorso febbraio, Serbia e Montenegro dovrebbero essere tra i primi, “entro il 2025”, a entrare, mentre per gli altri 4 Paesi ci potrebbe volere più tempo.
Il tutto a condizione che siano soddisfatte una serie di condizioni che riguardano la legalità, lo stato di diritto, la lotta alla corruzione, etc.
E proprio su questi punti, e anche su altre varie motivazioni, più o meno legate alle specificità o alle problematiche nazionali dei Paesi europei, sembra che si concentri lo scetticismo dei leader – e quello, più velato, dello stesso presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker.
Pur partendo dalla constatazione che i Balcani “passo dopo passo si avvicinano un po ‘di più all’Unione europea”, il Presidente della Commissione ha ribadito che essere ancorati all’Unione europea significa “condividerne valori e principi, tra cui il rispetto dello stato di diritto, l’indipendenza della magistratura e la libertà di espressione” perché “l’Unione europea è prima di tutto una comunità di valori e di leggi”.
In aggiunta, in una Unione che ancora non si è ripresa dallo lo shock della Brexit e dove le negoziazioni per il divorzio dal Regno Unito sono ancora ampiamente in corso, il Presidente Francese Emmanuel Macron ha obiettato che sarebbe il caso di sbrigare le faccende domestiche, prima.
“Negli ultimi 15 anni” ha detto Macron ai giornalisti durante il summit di Sofia, si è percorsa una strada che “ha indebolito l’Europa, pensando tutto il tempo che sarebbe dovuta essere allargata”.
L’Ue ha effettuato un considerevole allargamento a Est nel 2004, includendo una serie di Paesi, tra i quali i 4 di Visegrad (Repubblica Ceca Ungheria, Polonia e Slovacchia) che per alcune questioni, gestione dei migranti in primis, costituiscono una spina nel fianco per le politiche Ue.
Qualche anno dopo anche Bulgaria e Romania hanno fatto il loro ingresso nell’Ue (2007) mentre l’ultima arrivata è stata la Croazia nel 2013.
Secondo il primo ministro belga Charles Michel l’Ue deve essere “profondamente trasformata per funzionare meglio, essere più efficiente, e i Paesi balcanici devono riformare il modo in cui si gestiscono” secondo una prospettiva che dia garanzia di “maggiore stabilità, più sicurezza, e maggiore rispetto della certezza del diritto”.
Per la Spagna – una nazione alle prese con la patata bollente della Catalogna le sue mire secessioniste – accettare la prospettiva dell’ingresso nell’Ue del Kosovo, che ha dichiarato la sua indipendenza dalla Serbia e con la quale sono ancora in atto dispute territoriali, è quantomeno problematico.
Tale scarsa inclinazione alla disponibilità di apertura è stata espressa chiaramente dall’assenza del primo ministro spagnolo Mariano Rajoy al summit.
Lo stesso vale per Cipro, segnata da decenni di conflitto vero o sotterraneo con Ankara per la parte settentrionale dell’isola che è turca.
Non è dello stesso parere l’Italia, con il Primo ministro Paolo Gentiloni che dice di “non essere a favore della posizione della Commissione” sull’allargamento e l’avvio dei negoziati con Albania e Macedonia “sarebbe quantomeno paradossale”.
E questo, ha aggiunto Gentiloni, per il “rapporto speciale” che l’Italia ha con i Balcani, “basato su storia, economia e geografia” oltre al fatto che il BelPaese è “uno dei principali partner economici (della regione) insieme alla Germania”.
Il “corteggiamento”, per quanto incerto, dell’Ue verso i sei Paesi, è minacciato dalla Russia, che vede i Paesi dell’ex Jugoslavia come un ghiotto boccone sul quale estendere la propria influenza avvicinandosi così alle sponde del Mediterraneo. In misura minore, altri possibili contendenti potrebbero essere la Turchia e la Cina.