Roma – Qual è lo stato dell’Unione europea oggi? I vertici delle istituzioni comunitarie non hanno dubbi: è in cerca di solidarietà. Tanto il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, quanto quello della Commissione, Jean Claude Juncker, sono convinti sia proprio la carenza di questo elemento costitutivo dell’Ue a frenare i progressi nell’integrazione. E non è un caso che, all’annuale appuntamento ‘The state of the Union’ organizzato dall’Istituto universitario europeo di Firenze, manchi il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. È proprio ai Paesi membri, infatti, viene imputato l’immobilismo dovuto al venir meno del vincolo solidale tra Stati.
“Gli ultimi dieci anni di crisi hanno frenato” nell’Ue “il processo virtuoso e lo stesso slancio europeista. E’ venuto meno quello spirito di solidarietà tra Paesi che è stato il vero motore del processo d’integrazione”, indica Tajani. Il perché lo spiega Juncker: “Quando le cose vanno bene non è difficile” essere solidali, “ma quando ci sono crisi, come quella migratoria, allora la solidarietà si sfilaccia”.
Proprio il terreno dell’immigrazione è quello sul quale, secondo i due presidenti, risulta più evidente la scarsa disponibilità a condividere il problema. Entrambi rinnovano l’appello a non lasciare soli i paesi di frontiere come Italia e Grecia di fronte agli oneri dell’accoglienza, e hanno richiamato il Consiglio europeo alle proprie responsabilità sulla riforma del regolamento di Dublino sull’asilo. Una norma che per Juncker “non funziona” e va cambiata. La Commissione ha formulato la sua proposta e il Parlamento ha già votato la propria posizione, e adesso “anche il Consiglio deve sbrigarsi”, dice il lussemburghese. La questione verrà trattata al prossimo Vertice dei capi di Stato e di governo a fine giugno, e Tajani avverte: “Non possiamo pensare che il Consiglio abbia una visione non solidale della riforma di Dublino”, che oggi impone ai paesi di primo approdo l’onere esclusivo di farsi carico delle richieste di asilo.
La carenza di solidarietà non riguarda solo il dossier sui migranti, per Juncker. “Anche in occasione crisi finanziaria ho scoperto che ci sono degli europei sempre pronti a rispondere all’appello dell’Europa e degli europei part-time, che a volte partecipano e a volte non vengono al lavoro. Vorrei che tutti gli europei fossero tali full-time”. Contro questi paesi europei a fasi alterne si scaglia anche Tajani, secondo il quale è “giusto anche condizionare l’erogazione di alcuni fondi al rispetto dei principi e degli impegni assunti”, perché “non è accettabile che alcuni Stati chiedano solidarietà per le loro regioni arretrate, rifiutando, allo stesso tempo, solidarietà a chi sopporta il peso delle crisi migratorie”.
Il presidente degli eurodeputati si riferisce a delle condizionalità per l’erogazione dei fondi europei da inserire nel quadro del prossimo Quadro finanziario multiannuale (acronimo inglese Mff) dell’Unione europea. Per il budget del settennio 2021-2027 è stata recentemente presentata la proposta della Commissione, che prevede una dotazione totale pari all’1,1% del Pil complessivo dei Paesi membri. Una percentuale troppo bassa secondo Tajani che annuncia: “Il Parlamento eserciterà fino in fondo il suo ruolo di co-decisore chiedendo di arrivare all’1,3%”. L’incremento, precisa, “non deve venire dalle tasche dei cittadini, che già pagano troppo, ma da nuove risorse proprie”. Il “giusto contributo”, conclude il presidente, “deve arrivare da giganti del web, transazioni finanziarie a carattere speculativo, da chi inquina con plastica non biodegradabile”.
Juncker, sentendosi direttamente attaccato si giustifica. Quello proposto dall’esecutivo comunitario è “un aumento responsabile. Sarebbe stato possibile indicare di più, ma bisogna essere realisti”, spiega. “Se avessimo ascoltato quelli che volevano mantenere le politiche così come sono”, anche dopo il venir meno del contributo britannico con la Brexit, “avremmo dovuto presentare un budget al 2% del Pil”, una proposta che “avrebbe ricevuto probabilmente un secco no dai ministri delle Finanze, e probabilmente neanche il Parlamento avrebbe accettato”. In ogni caso, sottolinea, è necessario “adottare il nuovo budget finanziario dell’Ue prima delle elezioni europee dell’anno prossimo”. Il rischio, avverte, è che si finisca per ripetere l’errore del precedente quadro finanziario, che fu approvato nel 2013, appena un anno prima dell’avvio del ciclo 2014-2020, con conseguenti ritardi nella definizione dei programmi.