Roma – Chiedono tempo fino a domenica, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, per lavorare a un accordo di governo M5s-Lega. Nell’incontro di stamane a Montecitorio tra i due, si è creato un “clima positivo per definire il programma e le priorità di governo”, riferisce un comunicato congiunto. Anche “sulla composizione dell’esecutivo e del premier”, prosegue la nota, “sono stati fatti significativi passi in avanti nell’ottica di una costruttiva collaborazione”. Non c’è motivo, quindi, per cui il capo dello Stato Sergio Mattarella non accordi ancora qualche giorno. Le intenzioni sembrano serie, tanto che senza attendere la risposta ufficiale del Colle le due forze politiche hanno già avviato nel pomeriggio un confronto sul programma. E in caso il tentativo fallisse, entrambi ci rimetterebbero molto in termini d’immagine e di consensi. Non si può dire che un governo giallo-verde sia cosa fatta, ma tutto lascia intendere che un minimo comun denominatore lo troveranno. A cominciare dalla “gioia e contentezza” espressa dal capo politico del Movimento 5 stelle su Facebook, perché “finalmente possiamo iniziare a occuparci dei problemi dell’Italia”.
Alla luce di questa evoluzione della crisi politica, che appare ormai sbloccata dopo oltre due mesi dal voto, assume un valore particolare il discorso pronunciato oggi dal presidente della Repubblica, intervenuto alla conferenza sullo stato dell’Unione europea, l’annuale appuntamento organizzato dall’Istituto universitario europeo a Firenze. Le parole del capo dello Stato suonano come una garanzia, agli occhi dei partner europei, dell’impegno italiano per una sempre maggiore integrazione. Dall’altro lato, sono il riconoscimento che le critiche rivolte all’Ue – incluse quelle espresse con il voto italiano – hanno radici in istanze legittime, che però nascono non dalla presenza dell’Unione europea, ma dall’incompiutezza dell’integrazione in diversi settori, primo tra tutti quello sociale.
Mattarella si fa garante di uno spirito europeista, che l’Italia manterrà anche con un governo particolarmente battagliero nel voler riscrivere le regole, e al contempo lancia un monito a riconoscere la fondatezza di alcune critiche e dare risposte europee che sgonfino la convinzione diffusa tra i cittadini europei “che il progetto comune abbia perso la sua capacità di poter realmente venire incontro alle aspettative crescenti di larghi strati della popolazione; e che non riesca più ad assicurare adeguatamente protezione, sicurezza, lavoro, crescita per i singoli e le comunità”.
Vale la pena leggere ampi stralci del denso intervento del presidente (qui la versione integrale). “Tutti sanno che nessuna delle grandi sfide, alle quali il nostro continente è oggi esposto, può essere affrontata da un qualunque Paese membro dell’Unione, preso singolarmente, quale che sia la sua dimensione”, dice il capo dello Stato riferendosi a chi “di fronte a un cammino che è divenuto gravoso”, quello dell’integrazione, “cede alla tentazione di cercare in formule ottocentesche la soluzione ai problemi degli anni 2000”.
“L’irrilevanza delle politiche di ciascun singolo Paese europeo, fuori dal quadro di riferimento continentale, emergerebbe immediatamente”, ammonisce l’inquilino del Colle. “Per affermare reale sovranità sul terreno dei diritti e delle libertà dei cittadini e su quello della cornice di sicurezza in cui organizzare la propria vita; per governare in modo appropriato la ‘frontiera europea’ con efficacia e umanità; per assicurare la nostra sovranità alimentare e quella sul terreno della digitalizzazione, della gestione dei ‘big data’”, elenca, “la risposta a tutti questi difficili test è una sola: Unione europea”.
“Oggi siamo giunti a un punto cruciale nel percorso di integrazione, quello nel quale i diritti di cittadinanza espressi sin qui nelle sovranità individuali degli Stati, si trasfondono sempre più in quella collettiva dell’Unione, fondendosi in un unicum irreversibile”. È questo il passaggio in cui il presidente sottolinea che non si può tornare indietro sul cammino comune e che, anzi, “basterebbe ancora un breve tratto di strada per mettere l’intera costruzione al riparo” dalle minacce di disgregazione.
Per compiere anche quest’ultimo tratto, secondo il presidente, è necessario prima di tutto spiegare “le ragioni profonde” dello stare insieme. Su questo “le Istituzioni europee e gli Stati membri dovrebbero dedicare ben maggiore impegno a un’opera di capillare e duratura istruzione”. Il programma “Erasmus e gli altri programmi di mobilità giovanile già svolgono un ruolo di grande importanza”, ma “la possibilità di rafforzarne le potenzialità, affiancando ad essi lo sviluppo di vere e proprie Università europee, andrebbe rapidamente approfondita. È da qui che occorre partire per avviare una riscoperta dell’Europa come di un grande disegno, sottraendoci all’egemonia di particolarismi senza futuro e di una narrativa sovranista pronta a proporre soluzioni tanto seducenti quanto inattuabili, certa comunque di poterne addossare l’impraticabilità all’Unione”.
Oltre al lavoro culturale, però, serve attuare quella solidarietà che sta alla base dell’Unione europea, sottolinea il capo dello Stato. Serve la dimostrazione concreta dell’utilità di essere cittadini europei. Perché “l’enfasi prestata in modo incondizionato negli ultimi anni – da Maastricht in poi – agli aspetti esclusivamente economici dell’integrazione, pur se pienamente coerenti con il percorso di sviluppo e forieri di importanti risultati, ha probabilmente contribuito al rafforzarsi di una narrativa negativa. Quella di un’Europa lontana, descritta in modo quasi caricaturale come l’Europa delle banche e dei banchieri”.
Per sradicare questa visione, “i grandi avanzamenti conseguiti sul piano dell’economia, della moneta e della finanza, devono essere accompagnati in modo coerente dal parallelo sviluppo di un pilastro sociale, in modo da rendere evidenti, nei confronti dell’opinione pubblica europea, la loro strumentalità rispetto al ‘disegno grande’”.
Mattarella si spinge addirittura a una, pur velata, richiesta di riforma della Banca centrale europea. Il contributo che ha dato “con una saggia politica di accompagnamento della ripresa economica, va messo in luce”, indica. E “nonostante il suo mandato comprenda, a differenza di Banche centrali nazionali, esclusivamente l’obiettivo di una accurata gestione della stabilità monetaria, sarebbe arbitrario non voler riconoscere questo ruolo importante” giocato con la forzatura dell’acquisto di titoli di stato sui mercati secondari. Un modo delicato per chiedere che la Bce diventi in qualche modo prestatore di ultima istanza, eliminando l’anomalia che la distingue da tutte le altre banche centrali.
Il presidente stila anche un breve elenco dei “dossier centrali” che nell’Ue “attendono ormai da tempo di essere affrontati con risolutezza, primi fra tutti la riforma del sistema di Dublino e l’Unione bancaria”. Sono “questioni chiave per il nostro futuro, ma che non troveranno soluzione soddisfacente – e rimarranno anzi bloccate – se non risolte all’interno di un quadro di rinnovata solidarietà, nel quale la ricomposizione di sovranità al livello europeo sia percepita come un’ovvia necessità, parte di un disegno generale, i cui benefici complessivi saranno alla fine, e per tutti, maggiori”. La speranza è che al prossimo Consiglio di giugno questi consigli vengano tenuti in considerazione dai leader europei, a partire dal presidente del Consiglio che lo stesso Mattarella designerà nei prossimi giorni.