Roma – Le consultazioni al Quirinale per la formazione del governo sono ancora in corso, nel pomeriggio saliranno al colle i gruppi minori, ma l’unica strada che poteva portare a una maggioranza politica, quella tra M5s e Lega, è già sbarrata. La deviazione di percorso rischia di riportare il Paese alle urne, addirittura a luglio. È lo scenario che emerge dopo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto le delegazioni dei pentastellati e del centrodestra.
Il leader del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, ha confermato al capo dello Stato la propria disponibilità a fare un passo indietro, rinunciando al ruolo di presidente del Consiglio. “Salvini sa che non sono mai stato un impedimento” alla formazione di un esecutivo targato M5S-Lega e con Forza Italia fuori, ha ribadito il campano dopo l’intervista rilasciata ieri a Lucia Annunziata su Rai3. Il problema però non era sul suo nome, evidentemente. Perché quando Salvini esce dallo Studio alla Vetrata del Quirinale, lo stringato annuncio che dà non prende neppure in considerazione l’ultima offerta di Di Maio: il centrodestra non si divide.
Berlusconi non fa alcun passo indietro, non accetta di fornire appoggio esterno a un esecutivo giallo-verde. Né Salvini decide di strappare con l’alleato. Tutti insieme, anche con la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, chiedono a Mattarella l’incarico per Salvini. “Contiamo che il presidente ci consentirà di trovare una maggioranza” in Parlamento, dice il segretario del Carroccio.
Concessione che Mattarella non ha nessuna intenzione di fare. Al massimo potrebbe assegnare un pre-incarico. Perché una volta attribuito l’incarico, anche senza fiducia il governo Salvini si insedierebbe, sostituendo quello Gentiloni per la gestione degli affari correnti. Il capo dello Stato lascia così trapelare che, visto il perdurare dello stallo, lo scenario del ritorno alle urne non solo è sul tavolo, ma non si può neppure escludere che la chiamata alle urne venga fissata in estate, a luglio. In ogni caso, sottolineano le fonti quirinalizie, è certo che non sarà l’esecutivo Gentiloni a traghettare il Paese al voto, perché il presidente considera l’attuale inquilino di Palazzo Chigi una figura troppo politica per gestire questa fase. Senza contare che lo stesso presidente del consiglio uscente è uno dei nomi su cui il Pd punta per la prossima campagna elettorale, alla quale non potrebbe partecipare così agevolmente se restasse in carica.
Prende corpo l’ipotesi, dunque, che Mattarella affiderà un incarico di governo a una figura autorevole, in grado di dare garanzie di imparzialità. Si appellerà alla responsabilità delle forze politiche, ma ben consapevole che né il Movimento 5 stelle né la Lega sono d’accordo. Vogliono “scongiurare il 2011”, per dirla con di Maio che cita l’esperienza del governo tecnico di Mario Monti. Entrambi sono determinati a evitare “l’ennesimo governo non eletto dai cittadini”, per riecheggiare Salvini. L’esecutivo ‘del presidente’ – o ‘governo elettorale’ come viene definito al Colle – si insedierebbe così senza fiducia, per gestire gli affari correnti e andare al voto. Significa trovare le risorse, circa 18 miliardi di euro, per evitare gli aumenti di Iva e accise dal primo gennaio prossimo, e magari riuscire a fare una legge elettorale che dia qualche certezza in più sulla governabilità.
Per disinnescare le clausole di salvaguardia, secondo Di Maio “non è necessario neppure aspettare il prossimo esecutivo”, lo si può fare in Parlamento. E la legge elettorale non è così urgente, a suo avviso, perché il prossimo turno si configurerà automaticamente come “un ballottaggio” tra M5s e Lega. Si torna alle urne a luglio, quindi? Difficile, anche perché la partecipazione rischierebbe di essere molto bassa, creando problemi di legittimazione che sarebbe opportuno evitare. Molti leggono nell’indiscrezione fatta circolare sul voto a luglio un monito verso i partiti, per indurli a ragionare di più sull’idea di un governo elettorale. Le prossime ore diranno se avrà funzionato.