Roma – “Il concetto fondamentale” emerso dalle consultazioni affidate al presidente della Camera Roberto Fico “è che il dialogo è avviato” tra M5s e Pd. Basta questo, all’esploratore incaricato dal capo dello Stato sSergio Mattarella, per dire che “il mandato si conclude qui e ha avuto un esito positivo”. Il Partito democratico ha chiesto e ottenuto tempo per valutare l’offerta di Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 stelle, di cercare insieme un programma comune “per il cambiamento del Paese”. La sola ipotesi che M5s e Pd si siedano a un tavolo, insieme, per concordare un contratto di governo, ha spaccato il partito e fatto insorgere diversi militanti del movimento. Tant’è che Fico sottolinea come “in questi giorni ci sarà un dialogo all’interno del Movimento e del Partito democratico”. Ma l’opzione di un’intesa merita di essere approfondita, secondo Fico, convinto sia “importante, ragionevole e indispensabile rimanere sui temi, sui programmi, che sono il centro vero del cambiamento del Paese nell’interesse dei cittadini italiani”.
Serve tempo, dunque. E chissà se i giorni che ci separano dal 3 maggio prossimo – data di convocazione della Direzione nazionale dem per decidere – basteranno per far cambiare idea ai renziani, ancora maggioranza, e convincerli almeno a sedersi al tavolo con Di Maio. La scelta dovrà infatti essere “unitaria”, aggettivo usato dal segretario reggente Maurizio Martina. Se in Direzione passerà a maggioranza la proposta di accettare il confronto, infatti, sarà poi necessario che i gruppi parlamentari la rispettino compatti, perché i numeri di una maggioranza M5s-Pd non lasciano margini a defezioni.
Il Movimento 5 stelle è disposto ad attendere per cercare “un contratto al rialzo”. Per confermare la genuinità delle intenzioni, Di Maio conferma con una frecciata la chiusura del confronto con il segretario della Lega Matteo Salvini. “Potevamo fare come la Lega, scegliere di stare lontano dall’esperienza di governo e rimanere lì a lamentarsi”. Seda i malumori dei suoi militanti dicendo di capire “chi dice ‘mai con il Pd’”, ma li invita a pensare che non si tratta di un’alleanza ma di un patto su un programma preciso, da sottoposto comunque al giudizio degli attivisti attraverso la piattaforma digitale Rousseau. Si può anche tornare alle urne, e in questo caso “il Movimento 5 stelle ne uscirebbe rafforzato”, ma l’invito è a “capitalizzare subito” il peso guadagnato lo scorso 4 marzo. Bisogna quindi considerare “un’opportunità questa diciottesima legislatura”, nella quale “se si riescono a fare le cose, bene, altrimenti si torna al voto”.
L’ultima ipotesi non è da escludere, come in realtà non è del tutto cancellata l’opzione di un governo M5s-Lega. È a questo che lascia pensare la stoccata di Di Maio sul leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, e sulle sue televisioni. Tra i temi da inserire nel programma di governo col Pd, il candidato M5s alla presidenza del Consiglio inserisce anche l’informazione, “ed è chiaro che dobbiamo fare qualcosa sia sulla Rai sia sulle televisioni private”. Quelle di Berlusconi, prosegue, “lanciano minacce velate a Salvini nell’eventualità che si stacchi” dalla coalizione di centrodestra, segno che “sia arrivato il momento di mettere mano al continuo conflitto d’interesse”, perché “un politico non può possedere delle televisioni”. Un messaggio che si presta a essere interpretato come un monito all’ex Cavaliere: se non consenti la nascita di un governo giallo-verde, rischi un’aggressione ai tuoi interessi più cari.
La conferma che l’ipotesi di un esecutivo M5s-Lega sia ancora in piedi arriva da Salvini. “Quando Di Maio e Renzi avranno finito il loro amoreggiamento, se gli andasse male come penso, io ci sono”, annuncia il segretario leghista, pur ribadendo l’elemento che finora ha frenato i 5 stelle: il centrodestra rimarrà unito. Dichiarazione, quest’ultima, che potrebbe essere solo tattica. Presentandosi insieme con Berlusconi agli elettori del Friuli Venezia Giulia, che domenica prossima rinnoveranno il Consiglio regionale, il leader del Carroccio non può rompere con il centrodestra adesso – e comunque dovrà farlo ‘delicatamente’, senza mettere a rischio le amministrazioni locali guidate dalla coalizione – né l’ex Cavaliere può mostrarsi cedevole, accettando il ruolo di sostenitore esterno di un esecutivo Di Maio-Salvini. Entrambe le mosse richiedono un po’ di tempo in più, magari lo stesso necessario a verificare che tra i pentastellati e il Pd non l’intesa non è possibile.