Bruxelles – Il negoziato che dovrà portare al nuovo bilancio pluriennale dell’Ue sarà “difficile”, talmente irto di ostacoli che sarà complicato raggiungerlo entro la fine della legislatura. In sostanza non sarà questo Parlamento europeo, con ogni probabilità, ad approvare il nuovo Mff (acronimo di Multiannual financial framework, il budget settennale dell’Unione). A dirlo Helga Trupel, responsabile per le Risorse proprie dell’Ue del gruppo dei Verdi.
In vista della presentazione della bozza di bilancio da parte della Commissione europea (attesa il 2 maggio), i Greens rendono pubblica la loro proposta per il prossimo ciclo finanziario a dodici stelle, con l’europarlamentare Trupel che però spegne gli entusiasmi di quanti vorrebbero una soluzione rapida. “Ho negoziato l’Mff già due volte, nel 2009 e nel 2013, ma questa volta sarà più difficile per via della Brexit e per via della presenza più forte e numerosa di euroscettici” in seno al Consiglio e nello stesso Parlamento. “Il commissario per il Bilancio, Gunther Oettinger, vuole che il budget pluriennale sia adottato prima delle elezioni europee del 2019, ma non penso sia fattibile”.
Le difficoltà sono rappresentante innanzitutto dalla voglia di alcuni Stati membri di mettere meno risorse sul piatto. In questo senso la proposta dei Verdi va in controtendenza perché, spiega Trupel, “rivedere al ribasso il bilancio è una logica stupida, considerando quanto sono grandi le sfide che abbiamo davanti a noi”.
I Verdi chiedono una dotazione media di almeno 180 miliardi di euro di impegni all’anno. Vorrebbe dire circa 1.260 miliardi di euro nel settennio, più dei 959,9 miliardi impegnati per l’attuale ciclo in corso 2014-2020. Un aumento delle risorse ‘doppio’, considerata l’uscita del Regno Unito. Gli Stati sono chiamati a mettere di più, e questo pone non pochi interrogativi sulla fattibilità delle proposte dei Verdi. Però, spiega il relatore ombra per il bilancio, Jordi Solé, la nuova web-tax proposta dalla Commissione europea potrebbe essere riscossa a livello comunitario così da accrescere le risorse proprie dell’Ue e alleviare i contributi nazionali.
Ancora, per l’agricoltura i Verdi chiedono una Politica agricola comune (Pac) “equa”, attraverso una limitazione dei pagamenti diretti, che i ‘greens’ fissano a 50mila euro l’anno. “Questo, unito alla Brexit, permetterà risparmi attorno a 13 miliardi di euro l’anno, che vogliamo dirottare sul secondo pilastro della Pac, quello dello sviluppo rurale”, spiega Solé.
Sul fronte dell’immigrazione è previsto un programma specifico da dieci miliardi di euro, pari a oltre un miliardo l’anno, per aiutare le amministrazioni locali alle prese con l’accoglienza e l’integrazione. Una soluzione che può piacere fino a un certo punto a Stati membri quali Italia e Grecia, che vorrebbero meno soldi e più redistribuzioni. “Ci piacerebbe che gli Stati facessero di più”, si limita a dire Solé, consapevole che la questione è delicata, potenzialmente causa di impasse nei negoziati che si apriranno a breve.
Tra le novità a firma del gruppo dei Verdi ci sono le risorse per il rilancio dell’Ufficio della procura europea, che i ‘greens’ vorrebbero trasformare in un “Fbi europeo”. Per questa voce si vorrebbero destinare 80 milioni di euro l’anno (per 560 milioni complessivi nel settennio). L’idea è quella anche di promuovere una sorta di programma Erasmus per la mobilità degli ufficiali.
I Verdi chiedono quindi più soldi per ricerca e innovazione (per aumentare del 25% il programma Horizon2020, portando le risorse dagli attuali 80 miliardi in sette anni a 100 miliardi), grandi reti infrastrutturali (per raddoppiare il fondo Cef, da 33,3 a 66,6 miliardi in sette anni), e cultura (capitolo di spesa da moltiplicare per 8, passando da 1,5 a 12 miliardi). E poi, in quanto Verdi, vogliono aumentare la soglia di spesa per politiche sostenibili, proponendo di destinare il 50% delle risorse del bilancio Ue a queste voci invece dell’attuale 20%. “La soglia del 20% era stata decisa prima degli accordi di Parigi sul clima”, ricordano Solé e Trupel, secondo la quale è tempo di adeguarsi.
La Brexit offre poi l’opportunità per smontare il meccanismo del ‘rebate’, il rimborso che alcuni Stati hanno per il contributo al finanziamento dell’Ue. Praticamente la differenza negativa tra dare e avere viene compensata dagli altri Stati membri. E’ un privilegio di cui godono i britannici, ma che in questo ciclo di sette anni si applica anche a Danimarca (130 milioni), Paesi Bassi (695 milioni) e Svezia (185 milioni), più l’Austria (60 milioni, ma solo fino al 2016). “E’ una questione di eguaglianza ed equità”, sottolineano i deputati verdi, che non vedono nella sicurezza e difesa comune una priorità. Le spese per questi programmi “per noi vanno tenute fuori dal bilancio dell’Ue, anche se realisticamente finiranno dentro”, dice Trupel.