Bruxelles – Senza dubbio un’opportunità, senz’altro un cambiamento non privo di insidie. Le certezze ci sono, le incognite non mancano. La Commissione europea non può fare molto, il grosso dovranno farlo gli Stati, ammesso che siano capaci di leggere i tempi ed agire per tempo. Ecco che il passaggio dal lavoro tradizionale a quello digitalizzato e tecnologico diviene il rebus politico, il rompicapo dove in molti rischiano di rompersi davvero la testa se non si prendono le misure necessarie per adeguarsi ad un mutamento tanto rapido quanto imprevedibile.
L’intelligenza artificiale avrà un impatto sulla società. “Secondo le ultime stime dell’Ocse, il 35%-40% dei posti di lavoro sarà rimpiazzato, ma la verità è che nessuno sa esattamente quale sarà l’impatto reale dell’intelligenza artificiale”, riconosce Jyrki Katainen. Il commissario per la Crescita e gli investimenti, ma con responsabilità anche per competitività e lavoro, parla alla platea di Google e Debating Europe, in occasione della conferenza sul futuro del lavoro. E la realtà è che il futuro del lavoro è più incerto che mai.
Si sa già con certezza che i requisiti e le competenze richieste cambieranno per via dell’automazione e della robotica, si prevede la creazione di 21 milioni nuovi posti di lavoro nei prossimi 10-15 anni. Ma non si sa chi e come gestirà il passaggio. “Se sono richieste competenze, allora l’istruzione diventa fondamentale”, ragiona Katainen. “Non possiamo ottenere competenze senza istruzione”. Qui, però, “il ruolo della Commissione europea è limitato”. Le politiche di insegnamento, di formazione professionale e di occupazione ricadono nella sfera di competenza nazionale. Ci sono Paesi che sanno stare al passo dei tempi, altri meno.
“C’è un problema di cultura” in Europa, Katainen non lo nega. Anzi. “In certi Stati membri l’istruzione è considerata meno importante delle infrastrutture fisiche”. Non si fanno nomi, ma basta guardare le performance scolastiche, il numero di abbandoni e rinunce agli studi per capire come l’Italia sia tra i Paesi più problematici. “Quello che possiamo fare come Commissione è aumentare la pressione sugli Stati”. Katainen invita le imprese a fare lo stesso, per smuovere quelle capitali che ancora non si rendono conto della portata del problema. “Non dico che i governi sono stupidi, dico che hanno talmente sfide a cui rispondere che fissano altri tipi di priorità”.
In ballo c’è tanto. Si calcola che automazione e intelligenza artificiale abilitate al digitale abbiano il potenziale di aumentare la crescita del Pil dei paesi leader del settore di circa 550 miliardi di euro, pari a circa l’1,2% ogni anno fino al 2030. Ci sono impatti ancora da chiarire. “Abbiamo a che fare con un potere di fatto sconosciuto”, ribadisce Katainen, che ammette di essere “innervosito” dall’impossibilità di poter prevedere in che direzione si muove il mondo del lavoro. “Siamo di fronte a qualcosa di allarmante, ma che non ci deve bloccare. Non dobbiamo essere eccessivamente preoccupati sulle ripercussioni e su quanti posti di lavoro si potranno perdere, ma concentrarci sulle opportunità”. Ma le opportunità si possono cogliere oppure no, e le conseguenze si possono gestire oppure no. Istruzione e formazione professionale “hanno un costo”, ammette Katainen. Chi voglia farsene carico non è chiaro.