Roma – Quando fu lanciato, nel 2017, l’esperimento del governo di Helsinki attirò l’attenzione di tutto il mondo. A duemila giovani disoccupati finlandesi erano stati garantiti 590 euro al mese esentasse per due anni, a prescindere dal fatto che poi trovassero o meno lavoro. Un vero e proprio reddito di cittadinanza, quindi, una misura più radicale di quella proposta in Italia dal Movimento 5 Stelle, che – almeno nelle sue ultime declinazioni – è di fatto un sussidio condizionato all’accettazione di proposte di lavoro.
I risultati ufficiali della sperimentazione verranno diffusi solo nel 2019. Quel che si sa, per ora, è che l’esecutivo ha archiviato l’idea di proseguire il progetto ed estendere il versamento a una platea più ampia, che includesse anche occupati, e punta invece a ricorrere ad altre forme di welfare per le fasce della popolazione più disagiate. “Al momento, il governo sta attuando delle modifiche che stanno allontanando il sistema dal reddito di cittadinanza”, ha spiegato al quotidiano svedese Svenska Dagbladet Miska Simanainen, un ricercatore del Kela, l’istituto finlandese per la sicurezza sociale.
Simanainen non nasconde la sua delusione: senza includere i lavoratori a basso reddito, non si raggiungerà quello che sarebbe stato l’obiettivo chiave della seconda fase dell’esperimento: comprendere se il finanziamento avrebbe spinto le persone a investire in formazione o a cambiare carriera, piuttosto che adagiarsi sugli allori. “Due anni sono un arco temporale troppo breve per stilare conclusioni soddisfacenti da un esperimento così vasto”, ha spiegato invece Olli Kangas, uno degli accademici che hanno ideato il sistema, “avremmo dovuto avere più tempo e denaro per ottenere risultati affidabili”.
Perché Helsinki ha cambiato idea
Secondo il governo finlandese, spiega Business Insider, i sussidi previsti erano così alti e il sistema era così rigido che a un disoccupato non sarebbe convenuto cercare un lavoro finché poteva godere del reddito di cittadinanza. Così, lo scorso dicembre, è arrivata la prima stretta nella forma di una legge approvata dal Parlamento finnico che condizionava il mantenimento degli assegni a un’attività lavorativa pari ad almeno 18 ore ogni tre mesi, senza le quali i versamenti sarebbero stati ridotti. Il ministro delle Finanze, Petteri Orpo, sembrerebbe già avere le idee chiare sul nuovo sistema che entrerà in vigore dal gennaio 2019, quando il progetto pilota si esaurirà. “Quando l’esperimento sul reddito minimo universale finirà al termine dell’anno, lanceremo un esperimento sul credito universale”, annuncia il ministro al giornale finlandese Hufvudstadsbladet. Cioè, invece di dare direttamente denaro ai disoccupati, verranno armonizzati e concentrati in un solo sistema diversi benefici fiscali a favore dei poveri, sulla scia di quanto già avviene in Gran Bretagna.
Raffreddate le speranze dei profeti di Big Tech
La delusione dei padri del reddito di cittadinanza alla finlandese è condivisa anche dalla comunità tecnologica. Da Ray Kurzweil, capo degli ingegneri di Google, a Elon Musk, patron di Tesla, in molti avevano visto nel reddito universale di cittadinanza, denaro versato alle persone per il solo fatto di essere vive, come lo strumento che avrebbe consentito ai cittadini di continuare a comprare i beni prodotti da un’industria sempre più automatizzata, dove i robot rimpiazzeranno gli uomini in un numero crescente di mansioni. E l’esperimento finlandese era stato visto quindi come il primo passo verso una rivoluzione che, nel 2030, secondo Kurzweil, si sarebbe propagata in tutto il mondo. Un mondo dove l’uomo non avrebbe più dovuto trovare dignità nel lavoro ma accontentarsi del ruolo di consumatore, di utilizzatore finale di una filiera produttiva nella quale ci sarebbe stato sempre meno posto per operai in carne ed ossa. Uno scenario che per alcuni è un sogno di emancipazione, per altri un incubo distopico.
Notizia tratta da Agi.