Questa guidata da Jean-Claude Juncker era stata definita dal suo stesso presidente quella “dell’ultima chance”, una Commissione “politica” (sempre parola scelta dal presidente) che avrebbe dovuto rilanciare un’Unione sconquassata dalla crisi finanziaria, da quella migratoria, dai rapporti con la Russia e tanto altro.
Questa “ultima chance” sembra però che si sia persa.
L’elenco delle disfatte è lungo, e probabilmente non è ancora terminato. Manca circa un anno e mezzo (novembre 2019) al termine del mandato di quello che il lussemburghese ama far chiamare il “Team Juncker”, ma un bilancio è possibile, anche perché tra poco più di un anno ci saranno le elezioni per il nuovo Parlamento europeo, e dunque fra pochi mesi, di fatto, questa legislatura entra in una sorta di lungo “semestre bianco”.
Questo Team porta a casa una pesante, storica, drammatica sconfitta, in primo luogo: la Brexit. Il gruppo, anche il Team, fra meno di un anno perderà uno dei suoi protagonisti, e non uno di poco conto. Non è tutta colpa della Commissione, ovviamente; principalmente la responsabilità ricade su un gruppo di mediocri politici, in primo luogo conservatori, guidati da un “unfit” (per usare un’espressione britannica in voga) David Cameron, in una sorta di guerra civile interna al partito. La Commissione però fece poco e niente per aiutare i remainers, fece la scellerata scelta di non farsi mai vedere in iniziative pubbliche oltre la Manica. Lasciò irresponsabilmente che le cose andassero (in malora) per conto loro. Certo manca la controprova di cosa sarebbe successo se la Commissione europea si fosse impegnata più intensamente, magari anche prima che partisse la campagna referendaria, ma certo il risultato cui si è giunti è stato il peggiore possibile. Anche perché alla sconfitta degli unionisti è conseguito un governo guidato da una classe politica litigiosa e incerta, che ha potuto solo peggiorare le condizioni della separazione.
Dunque durante la presidenza di Juncker il club ha perso un socio. Ed è un’eredità pesante da lasciare.
Forse quello della Gran Bretagna sarà il solo abbandono “fisico”, ma che dire degli abbandoni virtuali di tante politiche comuni operati da Paesi come la Polonia, l’Ungheria o anche la piccola Austria? E’ uno svuotamento di fatto del ruolo dell’Unione, che dovrebbe unificare, e non tentare solo di tenere insieme con qualche chiodo storto un quadro che non regge più. Ma su questo tema si va anche oltre. La Commissione Juncker è impassibile testimone di un progressivo svuotamento dei valori democratici e dello Stato di diritto che dovrebbero informare tutta l’Unione, dovrebbero esserne il tessuto connettivo. Giornalisti ammazzati in più di uno Stato membro, in almeno un caso con pesanti connessioni con il partito che era e resta al governo. Libertà di stampa conculcata in tanti Paesi, come l’Ungheria e la stessa Polonia. Libertà civili ridotte, Giustizia messa sotto il controllo giudiziario…
C’è un altro aspetto che ha ricadute pesanti pure sulla libertà, perché senza lavoro non c’è libertà. La crisi economica non si è risolta. C’è una ripresa, è vero, ma che è più forte in quei Paesi, come il Portogallo, che hanno per quanto hanno potuto respinto le direttive di Bruxelles. Una ripresa che favorisce in particolare alcuni, come la Germania (che pure ha qualche dubbio su come stiano andando davvero le cose per lei) e non altri. Grandi Paesi come l’Italia non riescono a riprendersi davvero, anche se in gran parte per colpe di chi li ha governati.
I “populismi”, tutti quei partiti definiti anti-sistema che stanno dilagando in Europa, sono un’altra eredità che questa Commissione contribuisce a lasciare. Da anni a Bruxelles si annunciano impegni per fermarli, ed il risultato è che questi movimenti montano, arrivando al governo, o a sfiorarlo ma condizionandolo. E’ successo in Germania, in Francia, in Italia, in Olanda, ma in fondo anche in Ungheria, Polonia, Finlandia. Sono tutte storie diverse, partiti diversi, non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma poi, al Parlamento europeo, questi partiti pur se in forme scalcagnate formano gruppi possenti, che sempre più sembra possano diventarlo, e che prima o poi esprimeranno anche dei commissari europei. Tutto questo fenomeno sta avvenendo senza che il “Team Juncker” sia riuscito mai a porre un freno, a dare ai cittadini un motivo in meno anziché uno in più per sostenerli.
Forse anche il cinismo di un Ppe, che, similmente a quanto fatto dai Tories, pur di non sfasciarsi e perdere peso e dunque potere continua a tenere insieme tutto, da Angela Merkel, a Silvio Berlusconi, a Victor Orban, senza la forza di dire che in Ungheria si è passato il limite, facendone pagare il prezzo, come dicevamo sopra, anche a tutti i cittadini europei.
C’è anche una questione, i realtà non di primaria importanza se non per i protagonisti, nella quale la Commissione “politica” ha rinunciato al ruolo che si era attribuita: il trasferimento delle Agenzie europee da Londra in seguito alla Brexit, e in particolare dell’Ema, l’Agenzia del farmaco. Era necessario stabilire dove reinssediarle, una scelta che è evidentemente politica e che toccava al Consiglio europeo. La Commissione, subodorando forse la difficoltà, appunto, politica di una scelta di questo tipo che ha fatto? Si è ritagliata un ruolo di “istruttoria tecnica”, esaminando solo aeroporti, scuole e possibili sedi delle città candidate. Lasciando poi che si scatenassero le polemiche che ben conosciamo.
Non c’è una lezione che questa Commissione sembra aver ascoltato, ma forse perché non era in grado di farlo.
Chi c’è in questo “dream Team” guidato da Juncker? Quasi nessuno di rilievo. Dai soci il lussemburghese non è riuscito ad ottenere nomi forti, ma forse la verità, a questo punto emerge: non li voleva. Ci sono due o tre giocatori da serie A, qualcuno da serie B e moltissimi da tornei amatoriali. Qualcuno ricorda il “bomber Katainen”, il falco finlandese che avrebbe dovuto rivoluzionare l’economia europea? Ci si aspettava tanto, ma il piano di investimenti strategici che lui ha coordinato ha avuto un impatto marginale. Allargando lo sguardo ad altre politiche la proposta della Commissione di relocation di rifugiati tra Paesi membri non ha funzionato ed anzi ha inasprito le divisioni interne, L’accordo commerciate Ceta con il Canada ha diviso la società, e le enormi difficoltà che ha affrontato in Vallonia sono arrivate anche a causa della mancata consultazione di Bruxelles con gli organi regionali che dovevano approvarla.
Il Team poi ha perso un pezzo importante molto presto. La commissaria Cristalina Georgieva, una conservatrice bulgara, con idee forti, che era stimata da tanti, ha mollato per andare alla Banca Mondiale. Certo, un buon posto, ma anche quello da vice presidente della Commissione europea non è che sia uno strapuntino. Eppure, a quanto si racconta, “è scappata” perché non riusciva a lavorare. Sì, perché non è un mistero che questo Team Juncker in realtà maschera un solo uomo al comando, e tanti, troppi, nella Commissione raccontano che “qui l’aria è irrespirabile”. Quest’uomo non è personalmente Juncker, ma il suo uomo di fiducia, un giovane tedesco di nome Martin Selmayr, persona che ha creato un solco nella Commissione tra quelli che lo amano e chi lo detesta. Fino a qualche settimana fa era “solo” il suo capo di gabinetto, poi dopo una manovra spregiudicata in poche ore è diventato Segretario generale della Commissione, il massimo funzionario europeo, quello che, anche senza derivare il proprio potere da un capo, ha sulla scrivania assolutamente tutte le carte che passano per la Commissione, dalle iniziative strategiche di più grande rilevanza all’assunzione di un autista in una sede lontana. Selmayr controlla tutto, per delega di Juncker e forse anche oltre, intimorendo anche molti dei commissari.
L’immagine della Commissione, dopo quasi quattro anni del Team Juncker è più appassita che mai, superando anche quella che uscì dopo i dieci anni di José Manuel Barroso. Ma forse è proprio questa istituzione che, così com’è, non è più in grado di funzionare. Ma questo è un altro discorso. Da fare.