Lorenzo Salvia ha scritto oggi un bel corsivo (beh, non è in corsivo, ma il senso è quello) sul sito del Corriere della Sera per stigmatizzare, con ironia, la passione delle istituzioni europee per le sigle. “Coreper” (I e II), “Cocobu”, “Prima”, “Euco”, “Cult”, o l’evocativo “Cosac”, ma anche “Pesco”, o il più facile “Mep” sono suoni che inseguono chi lavora a Bruxelles tutti i giorni, spesso disorientandolo. Salvia racconta della “relazione consuntiva sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per il 2017. Un testo (presentato dal governo al Parlamento, ndr) di quasi 300 pagine dove si mette in fila tutto quello che è successo l’anno scorso sulla linea Roma- Bruxelles. Alla fine c’è un appendice con ‘l’elenco degli acronimi’, le sigle utilizzate nel documento: sono 260, quasi come le pagine del documento”.
E’ un po’ l’idea della “semplificazione” che circola nelle istituzioni comunitarie: usare nomi brevi, più rapidi da pronunciare dei loro lunghi nomi estesi, che dovrebbero dare un’idea di efficienza e finiscono per diventare una lingua per soli addetti ai lavori. Capita spesso di leggere documenti in cui le sigle non sono mai sciolte, dove si parla solo per acronimi, e allora parte la caccia su internet (ora che c’è) per capire di cosa si stia parlando, se la cosa ci riguarda, quanto la cosa è importante. E se è così allora vuol dire che si parla solo a un pubblico di iniziati, che la semplificazione diventa elitismo burocratico, ma anche politico, di fatto.
E’ un vizio che nelle Istituzioni, tutte, non ci si toglie. Si chiede agli Stati di ridurre all’osso la burocrazia, di semplificare la vita dei cittadini e poi quando quegli stessi cittadini cercano di capire qualcosa di Unione europea incontrano degli sconosciuti “Eva” (che sarà una “PrinCESSe”?) o “Hermes”.
C’è una guidina a qualche abbreviazione, ma veramente minima. Esiste anche una guida di Eurostat, non esaustiva abbiamo scoperto. Chi ha pazienza può leggerla, e chi ha voglia è anche invitato a proporre aggiunte…