Bruxelles – Tutto come da pronostico. Anzi, oltre. Viktor Orban vince le elezioni in Ungheria e ottiene i due terzi dei seggi parlamentari necessari per poter modificare la Costituzione. Il suo partito, Fidesz, prende il 49,5% dei consensi. Seconda forza del Paese è Jobbik, il partito dell’ultradestra che si ferma al 20% dei voti. Terzi i socialisti, con il 12%. Orban ottiene il quarto mandato di governo, il terzo consecutivo, e soprattutto la super-maggioranza al Parlamento. Con gli alleati dei Cristiano democratici (Kndp) vengono conquistati 133 seggi su 199, ben 4 in più rispetto alla elezioni di quattro anni fa e un seggio in più rispetto a quelli necessari per la maggioranza dei due terzi. Orban spazza letteralmente via i suoi avversari: dopo la débacle elettorale i leader di Jobbik e del Ps hanno entrambi rassegnato le dimissioni da segretari del partito.
Il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, accoglie la notizia con freddezza, e solo nella serata di lunedì emette uno scarno comunicato, puramente come “atto dovuto”, benché Orban sia un suo compagno nel Ppe. “A nome del Consiglio europeo, desidero congratularmi con lei per il risultato delle elezioni di ieri. Durante il suo nuovo mandato come Primo Ministro – continua, secco, Tusk -, conto su di lei per svolgere un ruolo costruttivo nel mantenere la nostra unità nell’Unione europea. Attendo di lavorare ancora con lei nel Consiglio europeo”.
Il Ppe invece esulta per “la chiara vittoria” in Ungheria, come la definisce il capogruppo popolare in Parlamento europeo, Manfred Weber. Lecito attendersi reazioni entusiaste dal partito europeo all’interno del quale è accasato Fidesz. Ma la rinnovata forza di Orban pone degli interrogativi sulla condotta ungherese in Europa. Gli elettori magiari hanno premiato l’uomo forte, quello deciso a opporsi alle idee comunitarie di ospitare migranti e a bandire le ong che intendono operare contro gli interessi nazionali individuati dal governo. “Abbiamo garantito una vittoria storica, e ottenuto la chance di proteggere l’Ungheria”, il commento di Orban a risultato acquisito.
Secondo il capogruppo del Pse al Parlamento europeo Udo Bullmann “l’esito delle elezioni in Ungheria invia un chiaro segnale oltre i confini dell’Ungheria al resto dell’Europa. La trasformazione delle nostre società crea spesso ferite, che portano a reazioni di paura. Se vogliamo che il progetto europeo sopravviva, dobbiamo trasformare la paura in speranza”. “Dobbiamo prenderci cura del futuro delle nostre società – continua Bullmann – e fare in modo che l’integrazione funzioni per tutti; sia quelli che arrivano dall’estero sia quelli che accolgono i rifugiati”, e per questo “è fondamentale unire le forze progressiste, sia in Ungheria che in altri Paesi europei, per lavorare contro quelle parti che promuovono l’esclusione, l’odio e la paura”. L’esponente socialista attacca poi i popolari europei. Il Ppe, dice, ha “una corresponsabilità per l’esito del voto e si preoccupa solo del mantenimento del potere, indipendentemente dal programma politico proposto. Il fatto che non abbiano mai affrontato seriamente le digressioni di estrema destra di Orban, lo dimostra chiaramente”.
Parole dure sulla vittoria di Orban arrivano anche dai due capigruppo dei Verdi al parlamento europeo, Philippe Lamberts e Ska Keller. “Questo risultato dimostra quanto sia grande la nostra responsabilità di difendere la democrazia e i diritti fondamentali ovunque nell’Unione europea. È vero – dicono i due dirigenti dei Verdi -, Orbán si è assicurato la sua maggioranza. Ma non dobbiamo dimenticare che il governo di Orbán è riuscito a mettere a tacere i media dell’opposizione, occupato molte posizioni chiave nelle istituzioni ufficiali con persone vicine al suo partito e a condurre una campagna aggressiva guidata da notizie false quando si parla di migrazione”.
Secondo Lamberts e Keller “allo stesso tempo, la corruzione sta diventando sempre più ampia in Ungheria. Il potere assoluto favorisce la corruzione assoluta. Continueremo a difendere lo stato di diritto in tutti gli Stati membri europei – concludono – e spingeremo le Istituzioni europee a esercitare maggiore pressione su Orbán”. I due parlamentari affermano poi che “è inammissibile che i membri del partito conservatore europeo (il Ppe, ndr), tra cui il presidente del gruppo Ppe al Parlamento europeo Manfred Weber e il presidente del partito Joseph Daul, abbiano sostenuto pubblicamente Orbán in vista delle elezioni, mentre allo stesso tempo il Parlamento europeo indaga sulle possibilità avviare una procedura di articolo 7 a causa della situazione dubbia dello Stato di diritto nel paese. Weber e i suoi colleghi dovrebbero vergognarsi di mettere l’amicizia dei partiti al di sopra dei diritti fondamentali e della democrazia”.
Monica Frassoni, co-presidente del Partito Verde europeo, stigmatizza anche lei come “n questo contesto emerge la gravissima responsabilità del Partito Popolare Europeo di Antonio Tajani e Manfred Weber, i quali in questi anni (e anche in occasione di questa campagna elettorale) hanno legittimato un operato da parte del loro membro ungherese che si è rivelato sempre più autoritario e xenofobo, contrario ai valori democratici europei che il PPE dice di rappresentare”. Frassoni si felicita però del fatto che “i Verdi di Lehet Más a Politika (LMP), membro ungherese del Partito Verde europeo, hanno conquistato nuovi seggi: le nostre congratulazioni vanno alla loro leader Bernadett Szél e ai suoi colleghi, che hanno affrontato e superato una campagna di vili e odiosi attacchi ad personam da parte di Fidesz. Questo dimostra che la strada per cambiare davvero la politica è tortuosa e ripida, ma esiste ed è possibile percorrerla”.
Patrizia Toia, la capodelegazione del Pd a Strasburgo, sostiene che “la vittoria del premier autoritario Viktor Orban alle elezioni in Ungheria è un pericolo per tutta l’Europa che non può più essere ignorato, né dal Ppe, né dai vertici del Parlamento Europeo e della Commissione europea”. Per la deputata “dopo anni di moniti e appelli inascoltati con cui Bruxelles ha tentato di fermare la deriva illiberale dell’Ungheria quest’ultima elezione rischia di far saltare tutti gli equilibri su cui si è fondata fino ad oggi la fondamentale ambiguità del Ppe, soprattutto se Orban avrà la possibilità di cambiare la costituzione del Paese. Ora -ammonisce – tutte le istituzioni europee e i governi democratici dell’Ue devono mobilitarsi per difendere lo stato di diritto e la democrazia in Europa, partendo anche dalle proposte del Parlamento europeo per rafforzare gli anticorpi democratici dell’Unione”. Per quanto riguarda le reazioni in Italia “le parole di ammirazione di Salvini rendono chiaro che è illusorio tenere insieme un centrodestra europeista insieme a una formazione di ispirazione illiberale e sovranista come la Lega”, ha dichiarato Toia.
Soddisfatto del voto è invece Lorenzo Fontana, della Lega, ora vice presidente della Camera e sino a poche settimane fa deputato europeo. “La schiacciante riconferma di Viktor Orban e il successo del suo partito, Fidesz, sono la dimostrazione del buon governo ungherese di questi anni, premiato dagli elettori -dice Fontana -. Con queste elezioni un nuovo tassello verso un’Europa più vera e più giusta è stato posto. L’Europa del futuro potrà basare le sue nuove fondamenta sull’alleanza delle forze identitarie, ovunque in grande crescita, unica alternativa al sistema pro-globalizzazione che ha dominato in questi anni e che ha portato con sé: disparità, sfruttamento dell’immigrazione clandestina, evasione fiscale delle multinazionali e concorrenza sleale”.
Così il vicepresidente della Camera dei Deputati Lorenzo Fontana sulle elezioni in Ungheria.
Già prima delle elezioni di ieri l’Ungheria rappresentava un problema per l’Ue. L’agenda dei lavori parlamentari è lì a ricordarlo: giovedì la commissione Libertà civili discute la bozza di risoluzione sul rispetto dello Stato di diritto in Ungheria, per valutare si ci sono le violazioni gravi dei principi fondamentali che possono portare a chiedere al Consiglio la sospensione dei diritti di voto in seno al Consiglio stesso. Ora il rinnovato slancio nazionalista di Orban, e la sua possibilità di far approvare ciò che vuole (modifiche costituzionali incluse), rischia di accrescere le distanze tra Budapest e le altre capitali, prime fra tutte Bruxelles.