Bruxelles – L’Unione europea ha garantito alla Turchia 9,1 miliardi di euro per modernizzare il Paese, ma i risultati sono pochi e pure incerti. Ritardi, assenza di controlli, assenza di volontà politica, e la svolta autoritaria impressa dopo il tentativo di colpo di Stato del 2016, hanno fatto compiere ad Ankara passi indietro lungo il cammino che porta all’Ue. Per questo la Corte dei conti europea (Eca), dopo un esame di quanto fatto nel Paese euro-asiatico, chiede alla Commissione di legare gli aiuti pre-adesione a maggiori controlli e più condizionalità. Non contiene buone notizie il rapporto speciale dell’Eca sull’utilizzo dei fondi europei destinati ai Paesi candidati.
La Turchia è uno dei cinque candidati ufficiali all’ingresso nell’Ue (assieme ad Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Montenegro e Serbia). La domanda di ammissione risale addirittura al 1987. E’ stata accolta alla fine del 2004, e i negoziati sono iniziati quasi un anno dopo, a ottobre 2005. Dal 2007 riceve i fondi europei che l’Ue riconosce a chi intende allinearsi agli standard dell’Unione. Incentivi per diventare membri, appunto. Ankara ha beneficiato di 4,6 miliardi di euro per il periodo 2007-2013 e di 4,5 miliardi per il settennio 2014-2020. Soldi che i Turchi si sono presi per farci tutto meno che quello che ci si attendeva. La Corte dei conti non ha dubbi: nel caso turco “l’efficacia dello strumento di pre-adesione è limitata”.
Ritardi, “assenza di volontà politica”, e poi “regressione in materia di riforme”. Tutti motivi di inefficienze e, in prospettiva, sprechi. Si rischia di non avere risultati di lungo periodo nel processo di riforme, col conseguente rischio di sperpero di risorse europee. “Dal 2013” il processo di ammodernamento del Paese mostra passi indietro. Un problema che risale dunque a prima del fallito tentativo di colpo di Stato del luglio 2016. La questione di fondo è che l’assenza di riforme fondamentali, necessarie per la membership comunitaria, si deve “principalmente” alla “mancanza di volontà politica da parte delle autorità turche” di attuare i cambiamenti richiesti.
E poi ci sono carenze, approssimazione. Il caso emblematico preso ad esempio dalla Corte dei conti è il progetto d’inclusione sociale nelle aree ad alta densità di popolazione Rom. Risorse per 8,4 milioni sono state destinare all’assistenza, all’istituzione di unità di coordinamento sociale, alla messa a disposizione di uffici e attrezzature informatiche. Tutto rimasto su carta. “Nessuno degli indicatori risulta essere specifico per questo segmento di popolazione”, lamenta il rapporto. Soldi erogati non si sa per cosa, quindi. Da tutto questo l’esigenza di cambiare registro. Cinque le raccomandazioni all’esecutivo comunitario: orientare meglio i fondi in funzione degli obiettivi, migliorare le valutazioni relative all’approccio settoriale, aumentare il ricorso alla condizionalità, migliorare il monitoraggio della performance dei progetti, limitare i ritardi attraverso la gestione indiretta in maniera selettiva.
Si chiede in sostanza a Bruxelles di ridurre l’autonomia di spesa della Turchia, e di gestire in modo più centralizzato anche i programmi, da sottoporre a verifiche costanti e condizioni diverse a seconda del singolo progetto.
Non si suggerisce di sospendere i fondi, perché questa è una decisione politica che spetta agli Stati membri (il Consiglio). La Corte non sa dire come la Turchia potrà reagire all’inasprimento delle condizionalità sull’erogazione dei fondi di pre-adesione. Anche questa è una questione tutta politica, ma cambiamenti si rendono necessari per correggere una sistema di spesa che in Turchia è diventato “insostenibile”.
La Commissione europea è già corsa ai ripari, spiega il commissario per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos. “Siamo consapevoli dei difetti contenuti nel rapporto della Corte dei conti, e abbiamo già compiuto passi per risolverli”. L’esecutivo comunitario ha adeguato i programmi del periodo 2007-2013 per garantire un pieno ed efficiente assorbimento delle risorse, e “abbiamo ri-orientato la nostra assistenza in altre altre aree”.