Sono passati dieci giorni dal voto in Italia ed ancora la confusione regna sovrana. Il risultato elettorale ha deciso chi sono i perdenti, ma non ha indicato un vincitore. La situazione è questa: la coalizione del centrodestra, trainata dalla Lega, è quella che ha ottenuto più voti e più seggi, ma non abbastanza per governare da sola; il Movimento 5 stelle da solo, senza alcuna coalizione, è arrivato al secondo posto, confermando le aspettative che sarebbe stato il primo partito, ma neanche i parlamentari guidati da Luigi Di Maio sono in condizioni di formare un governo da soli. Il Partito Democratico, con la sua micro coalizione, è il grande sconfitto. Altre forze non hanno rilievo.
Le ipotesi di governo che circolano in questi giorni sono le più diverse, basate in sostanza sul sommare e scomporre partiti e coalizioni. Si potrebbe parlare di almeno cinque o sei combinazioni, che però si scontrano contro le dichiarazioni politiche espresse dai leader in questi dieci giorni.
Le possibilità sono dunque solo due: che non si formi un nuovo governo o che si formi un governo tra Movimento 5 stelle ed una parte della coalizione di centrodestra, rappresentata dalla Lega.
Perché escludiamo altre ipotesi: Il Pd ha stabilito, con un voto sostanzialmente unanime dei suoi dirigenti che non andrà al governo con M5s (forse, come ha detto Piero Fassino, anche per vederli “consumare” nelle difficoltà), dunque questa maggioranza è impossibile; una maggioranza, ventilata prima del voto, tra Pd e Forza Italia non ha i numeri per esistere; combinazioni tra Pd, Lega, Fratelli d’Italia e qualche transfuga da altri partiti non è politicamente ipotizzabile; non è nemmeno immaginabile una maggioranza tra M5s e tutto il centrodestra, perché Di Maio mai si alleerebbe con Silvio Berlusconi, per evidenti ragioni politiche.
I due partiti che hanno avuto il maggior successo alle elezioni sono senza dubbio M5s e Lega, e sono partiti che hanno anche alcuni punti programmatici in comune. Le questioni europee sono le meno importanti in Italia, dunque non è su queste che può fallire un’alleanza, benché su alcuni punti fondamentali i due partiti convergano: si deve restare nell’Unione e si deve restare nell’euro; il resto, come i vincoli di bilancio, sono punti, per la politica interna, flessibili, e si può discutere e trovare un’intesa mediana.
Le difficoltà maggiori sono nelle proposte fatte alla base elettorale. Le promesse di reddito di cittadinanza tanto apprezzate al Sud hanno meno presa al Nord, così come le politiche per le Pmi nel Mezzogiorno fanno meno presa che nel Settentrione. Ma sui migranti c’è una sostanziale intesa, su un ruolo più leggero dello Stato anche (pur se tra mille contraddizioni). Qui ci limitiamo a giudicare però la presentazione generale che di se stessi i partiti hanno fatto agli elettori, e non a un giudizio sulla fattibilità o meno delle politiche proposte.
M5s e Lega hanno in comune anche un punto molto importante: il primo non ha votato in Parlamento la legge elettorale in vigore, il secondo non l’ha mai amata (la votò solo per poter andare alle urne al più presto) e non hanno timore di tornare al voto. Questo potrebbe essere un punto qualificante di un programma di governo, presentando una coalizione con un programma breve, nei punti e nel tempo, che riporti gli italiani al voto con una nuova legge elettorale che permetta a M5s e Centrodestra a guida leghista di sfidarsi per conquistare la guida del Paese.
Un problema grande è però chi farebbe il presidente del Consiglio. Matteo Salvini e Luigi Di Maio rivendicano entrambi il ruolo, ma il primo lo ha fatto all’interno della coalizione di centrodestra. Se la abbandonasse potrebbe spiegare ai suoi elettori che per senso di responsabilità, per poter dare un governo al paese, cede la poltrona all’alleato che ha il doppio dei suoi voti. Come ragionamento ci sta.
Resta questa però un’alleanza difficile, la Lega è abituata alle coalizioni, il M5s no, dove governa, a livello locale, lo fa sempre da solo, e per ora la posizione di Di Maio è “pronti a ricevere l’appoggio di tutti, ma sui nostri punti”. Una “assunzione di responsabilità” per dare un governo al Paese potrebbe però far ammorbidire questa posizione, in particolare se si presentasse la coalizione come qualcosa di temporaneo e finalizzato a duna nuova legge elettorale “chiarificatrice”, magari con un sostanzioso premio di maggioranza.
L’altro governo possibile è il “non governo”. Si accolgono le dimissioni che Paolo Gentiloni dovrà presentare non appena saranno eletti i presidenti delle Camere (per i quali tra M5s e Lega sono già in corso contatti) ma non si lavora ad una nuova maggioranza, magari solo a un governo tecnico. Di Maio e Salvini potrebbero però lavorare insieme alla nuova legge elettorale, e solo a quella, per poi portare di nuovo gli italiani al voto addirittura già a giugno prossimo, o al massimo poco dopo l’estate. Lega e M5s sarebbero ancora in tempo per sfruttare l’onda lunga del loro recente successo, non si “sporcherebbero” le mani con la preparazione della legge di bilancio, e potrebbero ragionevolmente sperare di accedere al governo, i pentastellati da soli, la Lega con i suoi alleati, senza dover chiedere voti ad altri.
Certo a Bruxelles non si farebbero salti di gioia, ma si dovrebbe accettare una situazione di fatto.