Incontro sempre più colleghi funzionari europei che vivono qui a Bruxelles e che non parlano né francese né neerlandese. Si esprimono unicamente in inglese e danno così per scontato che qui tutti debbano parlarlo che ormai addirittura omettono il “do-you-speak-English?” di cortesia quando si rivolgono a qualcuno in una lingua che non è di nessuno dei due. Noto che sono colleghi giovani e più spesso provenienti da paesi dell’Europa centrale e orientale.
Quando chiedo loro come possano vivere senza imparare almeno una delle lingue del paese in cui abitano, alzano le spalle e mi rispondono che l’inglese è la lingua internazionale. Una risposta e un comportamento che sono un ennesimo rivelatore di come l’idea della costruzione europea si stia sgretolando anche dal di dentro.
Questi colleghi ignorano uno degli obiettivi fondanti del progetto europeo: l’integrazione. Non esiste Unione europea senza l’integrazione dei suoi popoli, senza comprensione fra i suoi cittadini, senza che nasca prima o poi un’opinione pubblica europea. Solo quando i cittadini europei potranno discutere e confrontarsi sui grandi temi che li riguardano e organizzarsi in forze politiche transnazionali potrà esistere una vera unione. Più di ogni altra persona, un funzionario europeo dovrebbe sentire come un suo dovere civico parlare la lingua del paese in cui si trova a servire le istituzioni europee e partecipare attivamente alla sua vita pubblica.
I funzionari europei hanno molti obblighi nei confronti della loro istituzione, di riservatezza e di lealtà, anche quando vanno in pensione. Il primo obbligo che dovrebbero spontaneamente sentire è quello di mettere in atto con il proprio comportamento quello che i trattati contemplano e risoluzioni, raccomandazioni e dichiarazioni di tanti Consigli europei esprimono. Parlare la lingua della società in cui si vive è quello che chiediamo agli immigrati perché diventino cittadini responsabili e consapevoli. Critichiamo l’isolazionismo dei tanti immigrati che vivono nelle nostre società senza conoscerle, senza nessun coinvolgimento né partecipazione.
Stupisce che vi siano funzionari europei che lavorano nella capitale dell’Unione come clandestini culturali, chiusi nel loro mondo nazionale importato attraverso internet e disposti a comunicare con l’esterno soltanto parlando una lingua veicolare. Funzionari addirittura all’oscuro delle politiche delle stesse istituzioni per cui lavorano. Nel caso specifico, la politica europea del multilinguismo, varata dalle conclusioni del Consiglio di Barcellona del 2002, che sancisce l’obiettivo di raggiungere nell’Unione Europea un trilinguismo dove oltre alla lingua nazionale tutti i cittadini parlino almeno altre due lingue. Anche da queste piccole inciviltà si vede il declino di un ideale e forse sono più pericolose delle grandi crisi globali che l’Unione Europea ha dovuto affrontare, da quella finanziaria, alla Brexit, al suo perenne e laborioso sforzo di adeguamento a una realtà sempre cangiante.
Finché un’idea è viva, finché suscita entusiasmo fra chi è incaricato di portarla avanti, ottiene sostegno fra la gente e può far fronte alle più grandi difficoltà. Quando sono proprio quelli che più la rappresentano a lasciarla cadere, essa perde ogni credibilità. In fin dei conti un’istituzione è fatta di persone e se queste persone non sono più animate da ideali, di essa rimane solo un vuoto meccanismo.