Roma – Vuole guidare il Paese “non per sei mesi, ma per 5 anni”. È un Matteo Salvini ‘di governo’ quello che si presenta per l’ultima volta da europarlamentare a Strasburgo, in conferenza stampa, per illustrare il programma sul quale intende formare una maggioranza. Si rivolgerà “non ai partiti ma al Parlamento”, assicura il neoeletto senatore. In ogni caso, non farà “mai” un esecutivo con Matteo Renzi e con “quelli che sono stati bocciati dagli italiani” alle elezioni politiche del 4 marzo scorso. E “se qualcuno, tra Bruxelles, Berlino e Roma pensa di fare un governo escludendo coloro che hanno vinto, per attuare le politiche di follia e di suicidio dell’Unione europea, ha sbagliato a capire”, ammonisce, “ne vedremo delle belle”.
Prova a spaventare l’Ue, il leader del Carroccio. “L’Europa si aspetta una manovra con più tasse, aumenti di Iva e accise”, dice riferendosi alle clausole di salvaguardia rinviate per l’ennesima volta con la scorsa Legge di bilancio. “Noi faremo l’esatto contrario”, garantisce, “diminuiremo le tasse in Italia fino a portarle al 15%, con quella Flat tax che è già presente in 8 Paesi europei. Quindi, difficilmente qualcuno a Berlino, Bruxelles o Francoforte potrà dirci di no, perché lo fanno già altri”. La sfida riguarderà anche il tetto del 3% per il rapporto deficit/Pil. “Se lo possiamo rispettare bene, se siamo in condizioni di doverlo ignorare per fare il bene della nostra gente, lo faremo senza particolare preoccupazione”, avverte Salvini.
La provocazione si estende fino alla revisione dei trattati europei, che “sarà una priorità, serenamente, tranquillamente, pacificamente”. Ma ci sono altre promesse battagliere: “La direttiva sulle banche, la direttiva Bolkestein, le politiche agricole, quelle commerciali, i grandi accordi che favoriscono le multinazionali a discapito delle Pmi avranno il nostro no, sia a Roma che a Bruxelles”.
Solo sull’euro il segretario della Lega si ammorbidisce. Pur ribadendo la convinzione che sia “una moneta sbagliata”, ammette che “la Costituzione italiana impedisce di fare referendum sui trattati internazionali”, aggiungendoci un “purtroppo”. La modifica della Carta “sarà parte del processo dei prossimi 5 anni di governo”, ma la consultazione per uscire dall’Eurozona “non è una cosa all’ordine del giorno di domani, perché non si può fare”.
Anche in politica estera, in particolare sui rapporti con Mosca, Salvini si pone in conflitto con l’Ue. “Avremo in agenda buoni rapporti con la Russia, che è l’esatto contrario di quello che incredibilmente ancora in questi giorni è stato scelto a Bruxelles”. Il leader leghista si stupisce che “l’Ue paladina della pace abbia ancora in preadesione un Paese come la Turchia e continui a ritenere un nemico la Russia. Riporteremo un po’ di normalità nell’Unione”, promette.
Promesse, appunto, che sanno di campagna elettorale mantenuta aperta perché il leghista sa che non ci sarà un “suo” governo in questa fase. Salvini lancia già quella per le europee del prossimo anno – prevede che “non ci sarà più l’asse popolari-socialisti”, perché “i popoli europei nel 2019 riporteranno le loro identità, i loro Paesi e i loro territori a Strasburgo” – ma forse pensa già a un voto anticipato in Italia.
Tornare a puntare su un’aliquota fiscale al 15%, quando già il suo alleato di coalizione indica invece il 23%, è segno che Salvini non abbandona i toni da campagna elettorale. Non a caso precisa di non avere “smania di andare al governo”, e se lo farà sarà solo per “attuare il nostro programma”. Chi vorrà sostenerlo, indica, “dovrà assumere l’impegno entro il primo anno di abolire la legge Fornero, riportare l’aliquota fiscale al 15%, impegnarsi a controllare il flusso migratorio permettendo l’ingresso a chi ha diritto ma espellendo tutti gli altri”. Se si aggiungono “la riforma della scuola e della giustizia”, e “la manovra economica da proporre a Bruxelles, il programma per il primo anno è questo”, indica Salvini.
Il segretario della Lega sa bene che su ognuno di quei punti esistono non trascurabili distanze con le altre forze politiche. Talvolta anche in seno alla sua stessa coalizione. E sa che se vuole avere chances di attuarne qualcuno deve essere disposto a compromessi. Ma tenere il punto è evidentemente fondamentale nella sua strategia. “Governiamo se siamo in condizione di attuare il nostro programma”, ripete. Altrimenti, “tutto ci fa paura tranne che il voto”.
Quella di tornare alle urne a breve è una prospettiva che sta prendendo quota e non spaventa neppure il Movimento 5 stelle. Con il Pd che si è chiamato fuori – nella direzione nazionale di ieri ha confermato compattamente la linea dell’ormai ex segretario Matteo Renzi, di voler lasciare a chi ha vinto le elezioni l’onere di trovare una maggioranza – l’ipotesi di una collaborazione tra Lega e M5s si spinge a niente di più che a un governo di scopo. L’obbiettivo sarebbe riscrivere la legge elettorale e tornare al voto prima possibile, per incassare forse un consenso maggiore, certamente più parlamentari. Rimane comunque solo una delle ipotesi in campo. Uno degli esiti possibili nel gioco di posizione che tutte le forze stanno giocando, in un quadro destinato a evolversi da qui all’inizio delle consultazioni al Quirinale. Un’accelerazione si avrà tra dieci di giorni, quando il Parlamento insediato sarà chiamato a scegliere i suoi presidenti, la seconda e la terza carica dello Stato.