Bruxelles – Nessuna lista nera, ma una cabina di regia europea per contrastare il fenomeno della disinformazione in rete. La Commissione europea lavora alla delicata quanto complicata questione delle notizie false. Si chiamano ‘fake news’, e sono le classiche ‘bufale’ che si rincorrono sui social media, sui blog e su sedicenti pagine giornalistiche. A gennaio l’esecutivo comunitario ha deciso di affidare a un apposito gruppo di esperti il compito di avviare un ragionamento sul fenomeno, e due mesi dopo il comitato ha prodotto un rapporto che servirà da base per il piano d’azione che il collegio dei commissari conta di presentare a fine aprile.
Le raccomandazioni degli esperti invitano a un approccio multi-dimensionale, perché il fenomeno è complesso. “La minaccia è quella della disinformazione, non quella delle fake news”. L’espressione ‘notizie false’ per gli esperti “non è solo inadeguato, ma anche fuorviante”. Si tratta di imporre uno stop a tutte le forme di informazioni false, inaccurate, incomplete, ‘forzate’, confezionate per causare intenzionalmente danno pubblico o profitto.
“Non si tratta di creare ministeri della verità, e nel rapporto non si parla di liste nere”, sottolinea il commissario per l’Economia digitale, Mariya Gabriel, che prende le distanze dai metodi attualmente in uso presso il Servizio per l’azione esterna dell’Ue (Seae), l’organismo di cui è attualmente responsabile Federica Mogherini. Il Seae ha una lista nera di siti, dove si finisce senza alcun avviso o preavviso. “Il nostro mandato e le nostre attenzioni sono diversi”, taglia corto Gabriel, che insiste sulla necessità di puntare sulle verifiche in cooperazione con mezzi d’informazione e Stati membri.
Gli esperti dell’Ue in linea di principio suggeriscono massima trasparenza per il web, con l’indicazione di tutte le informazioni circa le fonti dietro le notizie pubblicate e diffuse su internet, così come le spiegazioni sul funzionamento degli algoritmi alla base della selezione e la condivisione degli articoli. Tutte queste condotte dovrebbero essere contenute in uno speciale codice di principi che le piattaforme online e i social network dovrebbero impegnarsi a rispettare.
Si suggerisce inoltre di procedere alla creazione di speciali Centri europei per i problemi di disinformazione, allo scopo di sviluppare attività di monitoraggio continuo delle informazioni non corrette, del loro impatto potenziale sulla società, loro strumenti e tecnologie di diffusione. Inoltre i centri dovranno portare avanti attività di contro-informazione attraverso attività di ‘fact-checking’, vale a dire di verifica dell’attendibilità e della veridicità delle presunte bufale. A questi stessi centri verrebbe inoltre conferito l’incarico di identificare e mappare le fonti e i meccanismi di disinformazione sul web, e rendere disponibili i dati delle piattaforme al pubblico. Serviranno soldi per tutto questo, e gli esperti chiedono risorse per “almeno” 100 milioni di euro nel prossimo bilancio settennale.