Roma – Si cercano, si annusano ma ancora non si trovano. Le forze politiche italiane, costrette al dialogo per dare un governo al Paese dopo l’ingarbugliato risultato elettorale, stanno ancora coperte, non si sbilanciano, mantengono la posizione in una partita a scacchi che sarà molto lunga. Qualche apertura dopo l’appello alla responsabilità lanciato ieri dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, ma è ancora presto per scoprire tutte le carte. Anche perché tutti sembrano aspettare per capire che strada prenderà il Pd dopo la direzione nazionale che si riunirà lunedì prossimo.
La novità più apprezzabile è il passo indietro del leader della Lega, Matteo Salvini: “Qualcuno fa una questione di vita o di morte per la sua presidenza del Consiglio, io no”. Si tratta di mezzo passo indietro, in realtà, perché il segretario federale del Carroccio precisa che “l’unico candidato premier della Lega è Salvini”. Tuttavia, “se arriva uno che vuole attuare il nostro programma, il presidente del Consiglio lo può fare anche Pippo, Pluto o Paperino”, scherza.
La linea rimane ferma sul tentativo di attrarre, sulla base del programma, i deputati e i senatori che mancano per una maggioranza di centrodestra. Missione impossibile visto che, solo a Montecitorio, dovrebbero cambiare casacca una cinquantina di deputati, e sono circa la metà i senatori necessari a Palazzo Madama. L’apertura sul nome per palazzo Chigi, però, fa crescere le quotazioni di un governo di centrodestra, rendendolo più digeribile al Pd.
Proprio il Pd, principale sconfitto delle elezioni, rimane ago della bilancia. Ha la possibilità di far nascere un esecutivo di centrodestra senza votargli la fiducia – i numeri dicono che basterebbe uscire dall’Aula al momento del voto – oppure può dare l’ok a un governo del M5s, con un appoggio esterno. Delle due ipotesi, la prima è più ‘facile’ nel breve periodo, ma rischia di tradursi in un ulteriore incremento di consensi per i 5 stelle alla prossima tornata elettorale. La seconda è quasi scabrosa per i dem, perché dovrebbero passare sotto il banchi della presidenza, al Senato e alla Camera, per pronunciare la fiducia a un governo pentastellato. Manterrebbero però la possibilità di staccare la spina in qualsiasi momento, e potrebbero rendere la vita difficile all’esecutivo per poi accusarlo di incapacità di governare. Entrambe le opzioni sono al momento congelate, con il Pd apparentemente arroccato sulla volontà di rimanere all’opposizione, indicata dal segretario Matteo Renzi. Sarà il microonde della direzione Pd, lunedì prossimo, a scongelare la situazione.
Nell’attesa, il capo politico del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, prova a stanare le altre forze politiche per trovare intese sul terreno dell’economia. “Entro il 10 aprile deve essere presentato il Def, il Documento di economia e finanza, che definisce le scelte di politica economica dei prossimi anni e che dovrà essere approvato a maggioranza assoluta dal Parlamento”, dice dalle colonne del Corriere della sera. “Sarà l’occasione per trovare le convergenze sui temi con le altre forze politiche”, indica promettendo la presentazione di una proposta entro pochi giorni.
L’invito ha trovato una buona accoglienza da parte di Francesco Boccia, presidente uscente della commissione Bilancio della Camera, esponente della frangia dem disposta a trattare con i 5 stelle. “Il Def è un primo test per tutti”, sostiene, e “sarà necessario un confronto tra tutti, senza pregiudizi”. Mostrare un sostegno corale “sarebbe un bel segnale sulla qualità della nostra democrazia”, aggiunge precisando che sarà probabilmente il governo gentiloni a predisporre il documento – che sia in preparazione lo aveva annunciato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – “ma non si potrà prescindere da un confronto tra tutti sui fondamentali dell’economia Italiana nell’attuale contesto europeo”.
Meno aperto all’invito di Di Maio è Salvini. Anche lui ha indicato nel Def un momento per cercare consenso attorno a un programma economico per il governo, ma su una possibile intesa con il M5s risponde: “Non lo so. Io ho chiaro che cosa proponiamo noi e noi non proponiamo un reddito per pagare la gente per stare a casa”, chiaro riferimento al reddito di cittadinanza, punto forte del programma elettorale pentastellato.
Il gioco delle parti prevale ancora sul dialogo, dunque, che però procede anche se sotto traccia. L’appuntamento nel quale si vedrà che frutti sta dando è per il 23 marzo, quando le Camere si insedieranno e dovranno eleggere i loro presidenti. Il Pd accoglierà l’appello a collaborare col centrodestra, lanciato dal capogruppo uscente di Forza Italia a Montecitorio Renato Brunetta, o si verificherà uno scambio tra Lega e M5s per garantire una presidenza leghista a Palazzo Madama e una pentastellata a Montecitorio? È presto per dirlo, così come è prematuro prevedere chi andrà Palazzo Chigi. Anche perché, tra Salvini e Di Maio, l’ipotesi che dopo le consultazioni Mattarella faccia un terzo nome per l’incarico di governo non è assolutamente da escludere.