Roma – I risultati delle elezioni politiche 2018 segnano un trionfo del Movimento 5 stelle, che mentre lo scrutinio si avvia a conclusione si attesta attorno al 32%, sia alla Camera che al Senato. A esultare anche il centrodestra, prima coalizione con il 37% circa in entrambi i rami del Parlamento. Si ride amaro, però, dalle parti di Forza Italia, che attestandosi attorno al 14% consegna la leadership della coalizione alla Lega di Matteo Salvini. È lui, con quasi il 18%, il vero vincitore nel rassemblement. Va bene anche Giorgia Meloni, Fdi ha più che raddoppiato l’1,9% del 2013 attestandosi al 4,2%. Dilapidato il 40,8% con cui il Pd di Matteo Renzi vinse le europee 2015. Oggi il risultato è più che dimezzato, arriva poco sopra il 19% al Senato, poco sotto ala Camera, e la guida del segretario è messa seriamente in discussione. Le cose non vanno meglio a chi aveva lasciato il Partito democratico per presentarsi alle elezioni con le altre sigle di sinistra nella lista Liberi e uguali. La formazione del presidente del Senato uscente, Pietro Grasso, è attorno al 3,2%, un soffio sopra la soglia per ottenere seggi. Si ferma sotto quello sbarramento, al 2,4%, la lista +Europa di Emma Bonino.
Proprio la distribuzione dei seggi, con i determinanti risultati dei collegi uninominali che arriveranno in tarda mattinata, sarà fondamentale per capire come potrà costruirsi una maggioranza che adesso non c’è. Non sarà un lavoro facile. Si prevedono tempi lunghi, e c’è chi è convinto servirà più di un giro di consultazioni al Quirinale. L’assenza di dichiarazioni da parte dei leader nella nottata di spoglio indica che nessuno vuole sbilanciarsi. Ciascuno vuol tenere ogni porta aperta.
Se il centrodestra – ammesso resti compatto – pretendesse il mandato per la formazione del prossimo esecutivo, indicando Salvini alla presidenza del Consiglio come da accordi pre-elettorali, sarebbe complicato attrarre quei parlamentari che mancano per raggiungere la maggioranza. È del tutto fuori dagli scenari possibili, poi, l’ipotesi delle larghe intese tra Forza Italia e Partito democratico. I numeri la condannano.
Gli stessi numeri, sommando i voti di M5s, Lega e Fratelli d’Italia, suggeriscono la possibile maggioranza di un fronte euroscettico (il 54% circa nelle urne, senza contare formazioni minori come Potere al popolo, Casapound e Forza nuova, che insieme fanno più del 2%). La vicinanza di idee su molti temi, dalla riforma delle pensioni al Fiscal compact, permetterebbe la coabitazione. Il matrimonio, però, sarebbe mal digerito da una parte consistente del movimento di Luigi Di Maio, e per Salvini potrebbe non essere conveniente. Con il sorpasso su Berlusconi, infatti, il segretario del Carroccio si candida a raccoglierne l’eredità di leader dell’intero centrodestra. Staccarsi per fare il socio di minoranza di un esecutivo giallo-verde è una possibilità, ma forse meno allettante che fare l’opposizione a un governo dei 5 stelle – retto su equilibrio precario, magari di un appoggio esterno – e puntare a farlo cadere prima possibile, per tornare al voto e incassare un bottino maggiore.
Il Movimento 5 stella è quindi la forza imprescindibile dopo queste elezioni politiche 2018. Per escludere un partito del 32,5% daal governo servirebbe una maggioranza molto coesa, e con questo quadro è impossibile si costituisca. “È chiaro che adesso tutti dovranno venire a parlare con noi, e dovranno farlo secondo le nostre regole di trasparenza”, gongolava Alessandro Di Battista dopo le prime proiezioni. È presto per capire a cosa porterà il dialogo che verrà intavolato dopo il risultato di queste elezioni. Anche perché l’assestamento dopo il terremoto che ha investito il Pd sarà determinante per capire se i pentastellati potranno guardare a sinistra per governare.
Le prossime settimane – la prima convocazione delle Camere è prevista il 23 marzo – serviranno alle rese dei conti, nel Pd e nel centrodestra, e a tessere le fila per la formazione di una maggioranza, o comunque di un patto in grado di far nascere un esecutivo. Il primo banco di prova per misurare i possibili accordi politici sarà l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. La maggioranza che si formerà per eleggerli sarà la prima indiziata per un’intesa di governo.