Roma – A chi spetterà il primo tentativo di formare il prossimo governo dopo i risultati delle elezioni del 4 marzo? Il centrodestra rivendica l’incarico come prima coalizione, il Movimento 5 stelle fa altrettanto come primo partito. Entrambe le formazioni, però non hanno i numeri. La formazione guidata dalla Lega è a oltre 50 deputati di distanza dalla maggioranza alla Camera. La distanza sale a una novantina per i pentastellati. Così accade che lo sconfitto Pd rimanga comunque centrale per effetto dell’assenza di un premio di maggioranza. Forse non con l’attuale segretario – in giornata si sono rincorse voci e smentite sulle dimissioni di Matteo Renzi – ma il drappello parlamentare dem potrebbe essere fondamentale per formare il prossimo governo.
Il leader della Lega, Matteo Salvini, sostiene che “la squadra con cui ragionare e governare è quella di centrodestra”, che “ha vinto e può governare” senza “coalizioni strane”. Difficile però riuscire a conquistando “individualmente” i parlamentari che mancano per la maggioranza, come lo stesso Salvini e l’alleata Giorgia Meloni dicono di voler fare. Cinquanta deputati sono troppi da racimolare alla spicciolata. Lo sa bene Renato Brunetta, presidente del gruppo uscente di forza italia a Montecitorio. L’ex ministro assicura il mantenimento dei patti pre-elettorali, indicando che sarà Salvini il nome che il centrodestra indicherà al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Incarico che potrebbe essere sostenuto da “un appoggio esterno”, ipotizza Brunetta spiegando che cosi, l’eventuale partito che offrisse questo appoggio “non parteciperebbe all’esecutivo ma ne garantirebbe l’agibilità per prendere tempo, e Dio solo sa quanto il Pd abbia bisogno di prendere tempo”.
Meno esplicito è Di Maio, anche lui convinto che gli spetti l’incarico di governo. Usa il tono di chi già si sente il mandato in tasca quando, in tarda mattinata e con i risultati praticamente acquisiti dice di sentire “la responsabilità di dare un governo al Paese”. Lo dice rivolgendosi in particolare “agli investitori e agli osservatori internazionali”. Conferma la linea di apertura “al confronto con tutte le forze politiche”, che avverrà “a partire dall’individuazione delle figure di garanzia a capo delle Camere”. È sull’elezione dei presidenti di Camera e Senato, infatti che si avrà il primo assaggio di un’eventuale accordo di governo. “Siamo fiduciosi che il presidente della Repubblica saprà guidare questa fase con autorevolezza e sensibilità come ha sempre fatto”, sottolinea ancora il capo politico M5s, che con ogni evidenza – a partire dai nomi indicati per la squadra di governo – guarda più al Pd che non a destra per trovare un’intesa di governo.
Pd che è ancora troppo impegnato a leccarsi le ferite per poter ragionare di possibili alleanze. Non è un caso che il segretario Matteo Renzi, nel tardo pomeriggio, sia ancora l’unico dei leader a non aver ancora parlato pubblicamente, oltre all’altro grande sconfitto, Silvio Berlusconi che si è visto scalzare la leadership del centrodestra. Lo fa in serata, dopo numerosi slittamenti della conferenza stampa convocata al Nazareno, per ammettere la “sconfitta netta” e annunciare che “dopo questo risultato è ovvio che io lasci la guida del Pd”.
Un abbandono che però non avverrà subito. Prima il segretario giocherà la partita delle trattative e delle consultazioni per la formazione dell’esecutivo. Solo dopo l’insediamento verrà aviata una fase congressuale per scegliere un nuovo segretario – o confermare quello uscente, che non ha escluso di candidarsi –. “Saremo responsabili”, promette, “ma la nostra responsabilità sarà fare l’opposizione”. “Non siamo disponibili a un governo con gli estremisti”, dice. Non solo un messaggio al centrodestra e ai 5 stelle, ma un avvertimento a chi, nel partito, pensa invece di raccogliere l’invito di Di Maio, magari contando su “un reggente scelto da un caminetto” da mettere al posto di Renzi. “Non faremo inciuti”, ripete l’ex presidente del Consiglio. Se i parlamentari del Pd, scelti da lui stesso, lo seguiranno lo scenario si complicherà non poco, lasciando come unica alternativa la formazione di una maggioranza tra i 5 stelle e il centrodestra. A Mattarella potrebbe servire un cilindro pieno di conigli per trovare una soluzione.