Roma – Dopo le elezioni politiche 2018, l’Italia avrà un Gentiloni bis o un governo a 5 Stelle? O ancora, un esecutivo di centrodestra guidato dal leghista Matteo Salvini, o dal presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani? L’elevata incertezza sul risultato delle urne di domenica prossima non dà spazio a uno scenario definito. Nulla è scontato e ogni forza politica punta sul bacino di indecisi – stando agli ultimi sondaggi pubblicabili erano almeno un terzo dell’elettorato due settimane fa, e secondo diversi studi la maggior parte di essi decide solo nelle ultime 48 ore – per fare un balzo in avanti rispetto alle previsioni. L’unica cosa certa, riguardo ai rapporti con l’Ue, è che chiunque sarà il prossimo inquilino di Palazzo Chigi, l’Italia rimarrà ingaggiata nella battaglia contro l’austerity economica, con diversi gradi di intensità a seconda della maggioranza che sosterrà l’esecutivo. Unendo l’analisi dei raggruppamenti più probabili a quella dei programmi elettorali, proviamo a ipotizzare i possibili scenari e capire cosa i partner europei possono aspettarsi dall’Italia dopo il 4 marzo.
Governo di centrodestra – La coalizione più vicina a una maggioranza parlamentare appare quella di centrodestra. Senza dilungarsi sulle regole del voto, è opportuno ricordare che la nuova legge elettorale non prevede l’indicazione di un candidato premier, e stimola la competizione interna agli stessi schieramenti. Così, dipenderà dal risultato dei due partiti più grandi, Forza Italia e Lega, chi sarà indicato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per guidare un eventuale governo a maggioranza Fi, Lega, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia. Sarà Salvini se primeggerà il Carroccio, come solo la leader di Fdi Giorgia Meloni e il diretto interessato sembrano convinti possa accadere. Sarà Tajani se il partito di Berlusconi otterrà più voti.
In entrambi i casi, il programma della coalizione – “vincolante” a parere di tutti i sottoscrittori – prevede un generico “meno vincoli dall’Europa”, che contempla una “revisione dei trattati” e un “no alle politiche di austerità”, conditi dalla “riduzione del surplus dei versamenti annuali italiani al bilancio Ue”, dalla tutela del made in Italy e dalla “prevalenza della nostra Costituzione sul diritto comunitario”, impossibile da realizzare se non modificando la Costituzione stessa.
Non si parla di uscire dall’Euro. Su questo punto la Lega non è più così agguerrita, e i proclami da campagna elettorale sull’”esperimento fallito” sembrano destinati a rientrare. Se proprio Salvini riuscisse a spuntarla, il massimo che Berlusconi sembra disposto a concedere è di valutare l’ipotesi di una moneta nazionale da affiancare all’Euro, ma anche questa sembra più una promessa elettorale, fatta per far piacere all’alleato e magari contendergli anche un po’ di voti sul suo terreno. L’Italia sarà un partner un po’ più agguerrito se la guida del governo sarà leghista. Ma solo nei toni, perché nella sostanza la foga delle camicie verdi verrà contenuta da Forza Italia, come ha assicurato Berlusconi in visita a Bruxelles. Il leader azzurro non ha alcuna intenzione di deteriorare i rinsaldati rapporti con il Ppe. Anche perché, se Tajani non andrà a Palazzo Chigi potrebbe provare a lottare per diventare lo ‘spitzenkandidat’ dei popolari alla guida della Commissione Ue dopo le europee del 2019.
Governo di larghe intese – Posto che la coalizione del Pd, partito che punta a diventare il primo gruppo parlamentare, non avrà quasi certamente i numeri per governare, neppure con il contributo di Liberi e uguali, l’unica ipotesi che contempla i dem al governo è quella delle larghe intese. Se effettivamente i parlamentari guidati dal segretario Matteo Renzi saranno i più numerosi, non è detto che uniti a quelli di Forza Italia bastino a formare una maggioranza. Anzi, un simile accorpamento dovrà contare anche su tutti i partiti di centro che avranno dei seggi in Parlamento, e anche così potrebbe non essere sufficiente. Le intese dovrebbero dunque essere larghissime e possibilmente estendersi anche a LeU.
La formazione guidata dal presidente del Senato Pietro Grasso, tuttavia, è disponibile solo a fare “un governo di scopo per cambiare la legge elettorale” e tornare subito alle urne. Anche questo è uno scenario possibile: che la XVIII legislatura si avvii con un governo di scopo. Non sarebbe la prima volta. Anche Enrico Letta, quando si insediò a Palazzo Chigi, avrebbe dovuto solo cambiare la legge elettorale e fare poche altre cose per tornare presto al voto. È finita che la legislatura, dopo un rimescolamento dei gruppi parlamentari e la nascita del già defunto Ncd di Angelino Alfano, non solo ha fatto il suo corso, ma stava per passare alla storia come quella in cui si è realizzata la più imponente modifica della Costituzione repubblicana.
In un simile scenario, con o senza Leu, l’ipotesi più accreditata è di un governo Gentiloni Bis, salvo nuovi nomi che potrebbero uscire dal giro di consultazioni al Colle. L’attuale presidente del Consiglio è gradito a Berlusconi. È “una persona gentile, sobria, ha cambiato il modo di porsi rispetto a Renzi”, ha dichiarato recentemente il leader di Fi, che non ricorda con dispiacere neppure il passato da ministro delle Comunicazioni dell’attuale premier. Anche il segretario dem sembra essersi rassegnato all’idea che Gentiloni sia l’unico uomo a lui gradito su cui potrebbero convergere le forze necessarie a una maggioranza, di larghe intese o di scopo che sia.
Per definizione è impossibile conoscere in anticipo i programmi di un governo che nascerebbe dalla mediazione tra forze molto eterogenee. Tuttavia, è facile ipotizzare che un esecutivo partecipato dal Pd non si discosterà molto dalla linea tenuta negli ultimi anni: la battaglia per la flessibilità, la volontà di allentare il Fiscal compact, la politica di investimenti in Africa e l’obbiettivo di vincolare l’erogazione dei fondi Ue al rispetto degli accordi sulla gestione dei migranti. Tutti punti sui quali Forza Italia non faticherebbe a convergere.
Governo Di Maio – Se per tutti è certo che il primo partito in termini percentuali sarà il Movimento 5 Stelle, altrettanto sicura appare la non autosufficienza della brigata parlamentare pentastella per sostenere il proprio capo politico, Luigi Di Maio, alla guida di un governo monocolore. Di Maio ha presentato ieri tutta la squadra di governo. Difficilmente coinciderà con il prossimo esecutivo che presterà giuramento al Quirinale. Guardando ai nomi, quasi tutti tecnici, si ha però la conferma che il movimento sia realmente intenzionato a intavolare un dialogo con le altre forze, in particolare a sinistra. Se è fantapolitica immaginare che Renzi sostenga un governo a 5 stelle, meno irreale è l’ipotesi di una collaborazione con Leu. La presidente della Camera Laura Boldrini è del tutto contraria all’ipotesi, ma Grasso non è così categorico e Bersani aveva già provato, da segretario del Pd, a governare con l’assenso dei 5 Stelle.
Se il movimento avrà forza sufficiente per pretendere e ottenere da Mattarella l’incarico di governo, non solo Leu ma anche qualche pezzo del Pd e altri parlamentari sparsi potrebbero convergere sulla proposta di Di Maio. Non è tra le più accreditate delle ipotesi, ma se si verificasse, anche qui i partner europei hanno poco da temere. Da tempo il movimento ha relegato l’uscita dall’euro a estrema ratio, nel caso in cui non si riuscisse a negoziare un allentamento dei vincoli di bilancio. E un’ulteriore rassicurazione arriva dal loro ministro designato per l’Economia, Andrea Roventini, che assicurava al Sole 24 ore: “Nel nostro Def non ci sarà spazio per idee bizzarre o utopistiche, ma di certo porremo maggiore attenzione al tema della crescita e degli investimenti pubblici, mantenendo comunque l’equilibrio dei conti pubblici”.
Governo Lega-M5s – Quello di un esecutivo guidato dal tandem Lega-Movimento 5 stelle è lo scenario che più terrorizza le capitali europee, ma anche questo, sebbene possibile, non sembra al momento tra i più probabili. Non tanto perché da entrambi i lati l’ipotesi è esclusa con forza – anche se in passato Salvini qualche apertura l’aveva fatta – ma perché i due gruppi parlamentari da soli non avrebbero la maggioranza e difficilmente riuscirebbero a coinvolgere altre formazioni, oltre a quella di Giorgia Meloni.
Il programma di un simile governo sarebbe il più indigesto a Bruxelles, trattandosi delle forze più euroscettiche dell’arco parlamentare. Mancherebbe il freno di Forza Italia alle spinte sovraniste della Lega. La riforma delle pensioni, cui entrambi i movimenti puntano, potrebbe trovare un equilibrio non gradito ai partner europei. Il rispetto del limite del 3% per il rapporto deficit/Pil non sarebbe considerato così vincolante da un governo giallo-verde. L’attuazione della direttiva Bolkestein sulle licenze pubbliche rischierebbe di rimanere disattesa, a anche la legge che recepisce quella sul bail-in potrebbe essere rivista. In poche parole, un governo Lega-M5s sarebbe un incubo per molti, molti che tirano un sospiro di sollievo a immaginare che questa sia la più remota delle ipotesi. Basteranno appena un paio di giorni per scoprire come andrà.