Bruxelles – Diritti umani sempre più calpestati in Europa, che tu sia un migrante o un cittadino dell’Unione. È quanto emerge dal Rapporto annuale di Amnesty international 2017/2018. Stando alla relazione, nell’Unione europea lo scorso anno i Paesi membri avrebbero ignorato le loro responsabilità in materia di protezione di rifugiati e migranti mentre sotto l’egida della sicurezza i governi avrebbero continuato ad applicare tutta una serie di misure antiterrorismo che hanno limitato i diritti dei cittadini in modo sproporzionato. In più attivisti e oppositori politici sarebbero stati sempre di più presi di mira dalle autorità, e i diritti alla libertà d’associazione e d’espressione sarebbero stati lesi, in quanto la maggioranza delle proteste pubbliche “sono state contrastate con uso eccessivo di forza da parte della polizia”.
Nel 2017 dalla Libia sono arrivati dalle coste europee 171.332 rifugiati e migranti. Con la cooperazione tra gli Stati Ue e Libia e Turchia, il numero è diminuito moltissimo, rispetto ai 362.753 del 2016. “Almeno 3.119 persone sono morte nel tentativo di attraversare il mar Mediterraneo per giungere in Europa poiché la maggior parte dei rifugiati e dei migranti che attraversavano il mare s’imbarcava in Libia, l’Ue e i governi europei, con l’Italia in prima linea, hanno cercato di chiudere questa strada, cooperando con la guardia costiera libica e altri attori nel paese” si legge nel rapporto. In particolare, l’Associazione denuncia che l’Ue e l’Italia “hanno stipulato una serie di accordi di cooperazione con le autorità libiche responsabili di gravi violazioni dei diritti umani compiute nella lotta all’immigrazione illegale”. Secondo Amnesty è “inammissibile” che l’Italia e altri governi “non siano riusciti a includere garanzie fondamentali per i diritti umani in questi accordi e hanno chiuso un occhio sugli abusi, tra cui torture ed estorsioni, ai danni di rifugiati e migranti, commessi proprio dalle istituzioni con cui stavano cooperando, violando, soprattutto l’Italia, gli obblighi internazionali e diventando complici delle violazioni commesse dalle autorità libiche, che stavano finanziando e con cui stavano cooperando”. L’organizzazione umanitaria ha messo sotto accusa i leader dei Paesi più potenti della terra per affrontare l’emergenza profughi “con un misto di evasività e vera e propria insensibilità'”.
La relazione definisce le leggi antiterrorismo attuate dopo gli attentati in molti Paesi membri “sproporzionate e discriminatorie”. A Marzo, l’adozione della direttiva dell’Ue sulla lotta al terrorismo, secondo Amnesty sembrerebbe destinata a provocare una proliferazione di tali misure nel 2018, “quando gli Stati membri recepiranno la direttiva nel diritto interno”. In particolare, l’organizzazione segnala che in Francia, dove lo stato d’emergenza è terminato dopo quasi due anni lo scorso novembre, è stata adottata una nuova legge antiterrorismo che “ha incluso nel diritto comune molte delle misure previste dal regime d’emergenza”. Il governo francese avrebbe “continuato a ricorrere a misure d’emergenza per vietare assemblee pubbliche e per limitare la libertà di movimentoimpedendo alle persone di partecipare alle manifestazioni”. La nuova legge francese prevede la detenzione senza accusa né processo, proposta anche in Olanda e Svizzera e introdotta nello stato tedesco della Baviera.
Sullo stessa direzione la legge in Polonia che “ha portato al divieto di alcune manifestazioni e ha favorito le assemblee filogovernative”. Le persone che partecipavano alle proteste, secondo i ricercatori di Amnesty “sono state perseguite, vessate da agenti della forza pubblica e da oppositori politici ed è stato loro impedito di esercitare il diritto alla libertà di riunione pacifica”.
Il rapporto segnala che ciò non è avvenuto solo in Polonia, ma anche nella già citata Francia, Germania, e in Spagna. I governi avrebbero risposto alle assemblee pubbliche contro le politiche restrittive o le violazioni dei diritti umani con la chiusura di spazi pubblici, l’uso eccessivo della forza da parte della polizia, il contenimento di manifestanti pacifici (noto come “kettling”), la sorveglianza e la minaccia di sanzioni amministrative e penali. A ottobre, le forze di sicurezza spagnole, a cui era stato ordinato d’impedire lo svolgimento del referendum sull’indipendenza catalana, hanno fatto uso non necessario e sproporzionato della forza contro i manifestanti, ferendone centinaia. “Sono state fornite prove – hanno dichiarato gli attivisti di Amnesty – che la polizia aveva picchiato manifestanti pacifici”.