Roma – Dopo la nomina del ministro delle Finanze spagnolo alla vicepresidenza della Banca centrale europea, sono in molti a dare per certo che nel 2019, quando l’italiano Mario Draghi lascerà la guida dell’Istituto di Francoforte, il suo posto verrà preso da Jens Weidmann, attuale presidente della Bundesbank ed esponente dei cosiddetti ‘falchi’ dell’austerità in Europa. Non la pensa così il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che risponde con un secco “no” alla domanda se la scelta del tedesco sia scontata per riequilibrare i rapporti tra falchi e colombe, appunto.
“Non è così”, spiega il ministro intervenendo alla trasmissione Omnibus su La7, “visto che c’è un presidente italiano e alla vice presidenza c’è stato un portoghese”, Vítor Constâncio, prima dello spagnolo De Guindos. “È andata avanti così per anni e nessuno si è spaventato perché i vertici della Bce fossero ‘in mano’ ai paesi del Sud”, sottolinea Padoan. A suo avviso “conta l’indipendenza” della Bce e “le decisioni sono sempre del board nella sua collettività”, non del solo presidente.
In realtà è lo stesso titolare di Via XX Settembre ad ammettere il peso del ruolo di vertice della Bce, quando afferma che “dobbiamo sempre essere grati a Mario Draghi per aver salvato la moneta unica, perché meccanismi automatici non lo avrebbero permesso”. È per questo che il ministro, a prescindere da chi sarà il prossimo presidente della Banca centrale, vorrebbe “la continuazione di una politica che è stata essenziale per salvare” l’euro.
Immettendo liquidità nel sistema bancario, con l’acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario, questa politica “accomodante” ha mantenuto bassi i tassi di interesse anche su quelli italiani. Il quantitative easing è però destinato a finire. A settembre prossimo, con la conclusione prevista per il programma di acquisti, o un po’ più tardi, se il board di Francoforte riterrà necessario prolungarlo. In ogni caso, secondo le previsioni quasi unanimi degli osservatori, non si andrà oltre l’ottobre 2019, quando Draghi passerà il testimone della presidenza Bce, forse proprio a quel Weidmann che da tempo chiede di invertire la rotta della politica monetaria. È per questo che in Italia sono in molti a sperare che Padoan abbia ragione, e che il successore di Draghi non sia un ‘falco’ del rigore come il tedesco.
Sul fronte interno, il ministro accredita l’ipotesi che dalle urne non uscirà una maggioranza chiara, e che quindi l’attuale esecutivo resterà in servizio più a lungo del previsto. “Sono ancora ministro e con molta probabilità il mio ministero darà vita al Def ad aprile”, annuncia Padoan, “perché forse per quell’epoca non ci sarà ancora un nuovo governo nella pienezza di poteri”. Nel Documento di economia e finanza toccherà tenere conto dello scostamento di 0,2 punti del Pil rilevato a novembre dalla Commissione europea. Per il titolare dell’Economia il compito non sarà però così arduo, dal momento che “il debito italiano è enorme ma finalmente si è stabilizzato”, e anzi, “ritengo che il debito finalmente stia cominciando a scendere”, dice il ministro convinto di trovare conferma nei dati che tra qualche giorno verranno diffusi dall’Istat.
Ci vorrà tempo per formare il nuovo governo, ma “l’Italia avrà una situazione più stabile di quello che a volte viene paventato”, prevede Padoan. “Vedo più tranquillità di prima, parlando con i colleghi europei, e osservando i mercati c’è meno agitazione”, aggiunge. Segno che la prospettiva di un governo di larghe intese sembra rassicurare gli osservatori internazionali. Prospettiva alimentata anche dallo stesso ministro e candidato del Pd alle politiche, che all’ipotesi di formare una maggioranza che includa il partito di Silvio Berlusconi fa un’apertura: “Ci sono partiti populisti, ma non credo si possa definire Berlusconi un populista”.