Berlino – Durante il tour che lo ha portato in diverse città su tutto il continente europeo, abbiamo intervistato Alessandro Fusacchia, capolista alla Camera per +Europa con Emma Bonino circoscrizione Europa, che ci ha parlato della sua idea per un Italia più europea, della cittadinanza europea e di una forma di Welfare paneuropeo.
Eunews: +Europa è un nome che già dice tanto, ma qual è la vostra idea dell’Italia e dell’Europa?
Fusacchia: Diciamo che per me queste non sono due domande separate. Noi abbiamo un’idea su un certo modo per l’Italia di stare in Europa e allo stesso tempo un’idea sull’Europa che si deve integrare di più e non deve interrompere questo processo partito qualche decennio fa.
Riteniamo che l’Europa sia stata un grande vantaggio perché oltre a garantire libertà e democrazia ci abbia aiutato in alcuni momenti a garantire alcuni diritti e a tenere la barra dritta su alcune cose. In Italia c’è questo mantra nazionalista e sovranista per cui si parla in termini di “ce lo chiede l’Europa” e “dobbiamo fare qualcosa perché ce lo impone l’Europa”. Io penso che alcune cose vadano fatte non perché ce lo chiede l’Europa ma semplicemente perché sia giusto farlo.
C’è bisogno di più Europa perché ormai siamo tutti troppo piccoli per mantenere e preservare la capacità di decidere se non lo facciamo in uno spazio di cittadinanza, in uno spazio più ampio. Allo stesso tempo potremmo essere più capaci noi a contribuire su come funziona e va avanti l’Europa. Quando dico che dobbiamo diventare più europei è perché abbiamo molto da guadagnarci. Inoltre possiamo dare un contributo. Ad esempio non essere ciechi davanti alle disuguaglianze, come fai con un progetto europeo creato per la libera circolazione ad aggiungere quell’aiuto in più? Non lo voglio chiamare Welfare europeo ma in sostanza sarebbe qualcosa di molto simile.
C’è bisogno di passare dalla Governance al Government europeo, ad esempio sulla gestione dei flussi migratori o anche sul bilancio europeo. Molto decisioni sono o bianco o nero e abbiamo bisogno di un meccanismo democratico che ci aiuti a decidere chi decide.
E: Proprio sui i flussi migratori, si parla molto della riforma dei trattati di Dublino. Quale posizione ha +Europa in merito?
F: La nostra posizione sull’immigrazione parte da un’idea: bisogna anticipare i cambiamenti e predire le rivoluzioni. Che l’Africa, un continente giovane che cresce, ad un certo punto si accorge che c’è l’Europa, continente piccolo e ricco che sta ad una portata di barca o barcone, era una cosa di cui si discuteva negli anni ’80. Come al solito abbiamo fatto finta di non vederlo e oggi ci troviamo in questa situazione qui.
L’immigrazione è una cosa più grande di noi, una cosa che per definizione non può gestire una regione come la Sicilia o un paese come l’Italia. Quindi l’idea è quella di socializzare questa criticità e questa opportunità, dal nostro punto di vista è importante che se ne debba occupare l’Europa. Il problema dove risiede? In merito a questi temi ci sono dei meccanismi molto più intergovernativi che europei perché noi facciamo accordi sulle quote e poi alcuni paesi si ritirano e non ci sono meccanismi sanzionatori veri. Dal nostro punto di vista iniziare a pensare all’immigrazione da un punto di vista europeo.
A questo si aggiunge il tema della cittadinanza europea, che al momento è uno strumento debole. Un mio piccolo sogno è quello di svincolare la cittadinanza europea da quella nazionale. Perché non immaginarsi tra un numero indefinito di anni un decreto flussi europeo perché c’è un mercato del lavoro europeo dove chi arriva si integra e dopo un po’ può chiedere la cittadinanza europea.
E: Che soluzioni ci sono secondo lei per una maggiore integrazione europea?
F: Nel breve periodo non c’è molto margine per integrarci, ci sono due soluzioni. Una istituzionale: ossia Francia, Germania, possibilmente Italia ed altri, che spingono in una direzione e decidono di fare passi avanti, dando uno scossone e vedere chi li segue, in fondo la storia dell’integrazione europea è questa. La seconda è politica: ovvero sviluppare famiglie politiche transnazionali. Al Parlamento Europeo hanno bocciato le liste transnazionali, quindi un mancato passo in avanti. Noi potremmo candidare alle prossime elezioni europee sotto la stessa bandiera candidati nazionali di diversi paesi con gli stessi interessi.
E: Parliamo di Bilancio Europeo e della vostra idea di congelare la spesa pubblica in Italia e rientrare pienamente nei parametri del Fiscal Compact. Non credete che questo possa avere un effetto negativo sul nostro paese?
Non vorrei che passasse il messaggio che noi siamo per la gestione del debito e quindi per l’austerity come è stata fatta 3-4 anni fa. Noi riteniamo che ci sia bisogno di investire nel paese. Ma il problema qual è? Le regole prima le rispetti e poi le cambi. Se noi non rispettiamo il parametro del 3% non è che Bruxelles ci dice che siamo stati cattivi, ma sono i mercati finanziari che ce la fanno pagare il giorno dopo. Dire il contrario significa non raccontare la verità agli italiani. Poi possiamo discutere serenamente se questo 3% ha senso, ma va discusso nel quadro europeo se non c’è Free Riding. Riguardo agli investimenti tutti gli altri stanno proponendo spesa corrente. Questo non rilancia i consumi e sottrae risorse a cose che sono più di prospettiva.
Noi vogliamo essere la forza che tiene la barra dritta su questo in un paese che, mi viene da dire, chiunque governerà spingerà nella direzione contraria. È anche una maniera per ricondurre tutti ad un minimo di sobrietà.
F: Lei si è occupato spesso di Start up. Ritiene che l’Italia possa approfittare di questo fenomeno? Non trova che queste start up abbiano problemi con il mondo del lavoro e ci voglia uno stato più attento al fenomeno della Gig Economy?
Il tema del lavoro è piuttosto critico al momento. Non sono sicuro, visti i differenti diritti doveri dei lavoratori negli stati europei, che si possa andare direttamente verso l’omogeneizzazione, ma è senza dubbio vero che bisogna rendere il lavoro dignitoso in tutte l’Ue. Sui nuovi lavori, sulla polverizzazione del lavoro abbiamo bisogno di dare garanzia di diritti che siano uguali in tutta Europa, infatti siamo in un mercato del lavoro unico.
Riguardo alle Start Up, nonostante il mio impegno, posso dire serenamente che il Paese non ripartirà solo da queste. Noi siamo già un Paese di start up, ma non solo digitali. Siamo un Paese manifatturiero e questo è un carattere che va preservato. Secondo, questo mondo delle start up va integrato con quello dell’impresa più grande e strutturata che abbiamo. Possono essere una nuova chiave di sviluppo dell’innovazione, che magari parte in maniera più agile fuori da aziende più grandi che fanno fatica ad innovare e poi possono produrre innovazione da incorporare in altre aziende più grandi. E una cosa win-win. Ma bisogna accettare che il Paese ripensi le priorità. C’è bisogno di ripensare tutto, anche l’accesso al credito.
La cultura delle start up sta portando in Italia la mentalità dell’imprenditorialità e dell’interinmprenditorialità, intraprendere latu sensu, che è una cosa positiva per i giovani. Non c’è più l’idea che qualcuno ti debba dare qualcosa, ma piuttosto quella che bisogna fare qualcosa e questo rende il paese più dinamico.
E: Abbiamo parlato di Start Up. Parliamo invece dei grandi giganti del Web e della loro tassazione.
F: Anche in questo caso la risposta è più Europa. Ossia: è inutile che la regione Lazio tassi Google, Amazon o chicchessia. Ormai il rapporto di forza è cambiato. Personalmente credo che ci sia bisogno di una tassazione sui giganti del web. In uno stato federale generalmente c’è la famosa Corporate Tax. Non possiamo avere un sistema fiscale dove il Lussemburgo fa quello che vuole, l’Irlanda fa quello che vuole e le aziende si spostano semplice a 30 km dal confine per pagare meno tasse. Se si crea un’enorme zona tassata sarà più difficile lasciare un continente piuttosto che uno stato.
E: Per chiudere ci piacerebbe sapere quanto +Europa si sente vicino al nostro manifesto per l’Europa. (Un Parlamento europeo eletto su base universale che abbia potere di iniziativa legislativa. Una Commissione europea snella. Una burocrazia forte, credibile, efficiente, selezionata con sistemi trasparenti. Un sistema di istruzione aperto a tutti. Intervenire subito in materie gestibili solo a livello di Unione. Comunicazione e sistema di informazione trasparenti)
F: Personalmente sono d’accordo su quasi tutti i punti. Mi limiterò a fare delle osservazioni su alcune cose. Innanzitutto la trasparenza: possiamo dire che l’Europa spende moltissimo in trasparenza ed è uno degli organismi più trasparenti. Mentre riguardo la Commissione, per quanto io sia d’accordo, ritengo sarà difficile perché c’è già il Consiglio Europeo e quindi gli stati saranno reticenti a cedere potere, per questo siamo in una situazione di stallo. Per quanto riguarda invece il parlamento Europeo, finché non potrà decidere se alzare o abbassare le tasse su alcunché sarà sempre irrilevante. Abbiamo costruito la democrazia in Europa sul principio “No Taxation Without Representation” e adesso il Parlamento Europeo che è “Representation Without Taxation”, questo non funziona.