Bruxelles – Le ore di guardia trascorse dal lavoratore al proprio domicilio, con l’obbligo di rispondere alle convocazioni del datore di lavoro entro un termine breve, devono essere considerate come orario di servizio. Questo perché l’obbligo di restare fisicamente presente nel luogo stabilito dall’azienda e il vincolo a raggiungere il luogo di lavoro entro un termine breve, limitano molto fortemente le possibilità per il lavoratore di svolgere altre attività. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea, interpellata dal Tribunale del Lavoro belga, dopo che un cittadino di Nivelles ha avviato un procedimento giudiziario per far riconoscere le ore in cui deve essere reperibile pur stando nella propria abitazione a prestare servizio qualora servisse.
Il servizio antincendio della città di Nivelles raccoglie vigili del fuoco professionisti e volontari. Questi ultimi partecipano agli interventi e prestano anche turni di guardia e permanenza. Il signor Rudy Matzak, oltre a svolgere la mansione di impiegato presso un’azienda, è diventato vigile del fuoco volontario nel 1981. Nel 2009 Matzak ha avviato un procedimento giudiziario contro la città di Nivelles con lo scopo di ottenere un risarcimento per servizi di guardia al proprio domicilio, che a suo avviso devono essere compresi nell’orario di lavoro.
Nella sua sentenza la Corte di Giustizia stabilisce che, prima di tutto, gli Stati membri non possono, con riferimento a talune categorie di vigili del fuoco reclutati dai servizi pubblici antincendio, venir meno all’insieme degli obblighi derivanti dalle disposizioni di tale direttiva, comprese le nozioni di ‘orario di lavoro’ e ‘periodo di riposo’.
La direttiva non consente neanche agli Stati membri di mantenere o adottare una definizione della nozione di ‘orario di lavoro’ diversa da quella prevista nella stessa normativa Ue. La direttiva, infatti, sebbene preveda la facoltà per gli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni più favorevoli alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, fa sì che tale facoltà non possa essere applicata alla definizione della nozione di ‘orario di lavoro’.
La Corte ricorda anche che la direttiva non disciplina la questione della retribuzione dei lavoratori, aspetto che esula dalla competenza dell’Unione. Gli Stati membri possono pertanto prevedere, nel loro diritto nazionale, che la retribuzione di un lavoratore in ‘orario di lavoro’ differisca da quella di un lavoratore in ‘periodo di riposo’ e ciò anche al punto di non accordare alcun tipo di retribuzione durante tale periodo.
La Corte di Lussemburgo ha stabilito che le ore di guardia che un lavoratore è obbligato a trascorrere al proprio domicilio con l’obbligo di rispondere alle convocazioni del suo datore di lavoro entro 8 minuti – il che limita molto fortemente le possibilità di svolgere altre attività – devono essere considerate come ‘orario di lavoro’. A tal proposito, la Corte ricorda che il fattore determinante per la qualificazione come ‘orario di lavoro’, ai sensi della direttiva, è costituito dal fatto che il lavoratore è costretto a essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal titolare e a tenersi a disposizione del medesimo, per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno.
La Corte ritiene che – anche se tale luogo era, nel caso di specie, il domicilio di Matzak e non il suo luogo di lavoro – l’obbligo di essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro nonché il vincolo derivante, da un punto di vista geografico e temporale, dalla necessità di raggiungere il luogo di lavoro entro 8 minuti, siano di natura tale da limitare in modo oggettivo le possibilità di un lavoratore che si trovi nella situazione di Matzak di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali. Per la Corte dunque “alla luce di tali vincoli, la situazione di Matzak si distingue da quella di un lavoratore che deve, durante le sue ore di guardia, essere semplicemente a disposizione del suo datore di lavoro affinché quest’ultimo possa contattarlo”.