di Gianni Bonvicini
Malgrado posizioni fortemente contrastanti fra i partiti, l’Europa non gioca un grande ruolo nel dibattito elettorale italiano. Va subito detto che non è solo una nostra prerogativa. Capita lo stesso negli altri Paesi dell’Unione. Perfino in Germania, Paese leader dell’Ue, nel corso dell’ormai non più recente confronto elettorale i temi in discussione hanno riguardato per lo più questioni interne.
Ma nel caso dell’Italia, Paese debole ma troppo grande per rimanere ai margini dei giochi che stanno per riaprirsi a Bruxelles, chiarire meglio le diverse posizioni sul futuro dell’ Europa dovrebbe essere considerato un compito di interesse interno prioritario.
M5S: l’Ue la casa naturale, ma poco visitata, del nostro Paese
D’altronde, che l’Ue riguardi un po’ tutte le nostre politiche nazionali, dall’immigrazione all’economia, è piuttosto ovvio. Sorprendendo un po’ tutti, un concetto del genere è stato perfino espresso dal leader del M5S, Luigi Di Maio, allorquando, in un recente discorso al Link Campus di Roma, ha sostenuto che “l’Ue non è un tema di politica estera, ma la casa naturale del nostro Paese”.
Peccato che poi, a spulciare il programma ufficiale del Movimento sul sito del Ministero degli Interni, nei 20 sintetici punti depositati l’Ue non sia mai neppure menzionata. Dobbiamo entrare nella piattaforma Rousseau per trovare una breve riflessione sull’Europa nel capitoletto dedicato, guarda caso, proprio alla “politica estera”. Essenzialmente si recrimina il fatto di essere “succubi di una moneta unica” che ci ha costretto a “ridurre i salari e i diritti sociali”.
La proposta è quindi quella di superare l’austerità attraverso “un’alleanza con i Paesi dell’Europa del Sud” allo scopo di ottenere “una profonda riforma anche dell’Ue”.
Il centro-destra: meno vincoli dall’Europa
Se poi passiamo, sempre sul sito del Ministero degli Interni, ad esaminare il programma comune di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, il tema europeo è affrontato già al punto 3 dell’elenco sotto l’evocativo titolo “meno vincoli dall’Europa”. Lo smilzo capitoletto si sostanzia in una serie di “no” all’austerità, all’eccesso di regole, alla burocrazia europea e ai nostri versamenti netti al bilancio comunitario.
Si propone quindi un recupero radicale di sovranità, facendo prevalere la nostra Costituzione sul diritto comunitario e difendendo il ‘made in Italy’. Insomma una visione particolarmente negativa dell’Ue, solo parzialmente corretta dagli interventi pubblici di Silvio Berlusconi.
Pd: verso gli Stati Uniti d’Europa, con varie rivendicazioni
Se poi ci addentriamo nei punti programmatici del Pd, il clima muta notevolmente, almeno in apparenza, fin dal titolo “verso gli Stati Uniti d’ Europa”, anche se questo punto programmatico è relegato al punto 9, quasi al termine del testo. Semmai una certa ambiguità si riscontra nella contrapposizione fra l’ambizione di un grande passo avanti nel processo di integrazione e l’attacco alle attuali istituzioni che “procedono in un cabotaggio di corto respiro”, come se tale situazione non dipendesse dalla volontà e dagli ostacoli che gli stati membri frappongono ad un corretto funzionamento delle istituzioni di Bruxelles.
E’ questa poi un’occasione per il Pd di togliersi alcuni sassolini dalle scarpe, come la minaccia di stabilire “una correlazione tra i soldi che l’Italia mette come Paese contributore nel bilancio europeo e gli impegni che i Paesi che ricevono quei soldi mettono nella gestione della migrazione”, con un chiaro riferimento al gruppo di Visegrad che si rifiuta di accogliere le quote stabilite di rifugiati dall’Italia. Come pure un riferimento all’indigeribilità per l’Italia delle regole del Fiscal Compact rispetto ai più accettabili criteri di convergenza del Trattato di Maastricht.
+ Europa: un salto qualitativo – Liberi e Uguali: impegno e critiche
Un salto davvero qualitativo sull’Ue si ha nella lettura del programma politico di +Europa dal titolo “Europa: una federazione leggera verso gli Stati Uniti d’ Europa”. Come c’era da aspettarsi, l’impegno di Emma Bonino è stato quello di riportare il tema Ue al centro del dibattito elettorale.
Il testo del programma, che per diverse pagine si sofferma sul futuro dell’ Europa, appare quasi come un saggio di ricerca con proposte dettagliate che vanno da un accresciuto bilancio comunitario a una difesa comune, dal completamento dell’Unione bancaria alla trasformazione delle attuali istituzioni in versione più federale.
Un impegno europeista che si ritrova in versione molto più generica e diluita in Liberi e Uguali, più attenti ai temi delle politiche di accoglienza degli immigrati e al controllo europeo delle grandi multinazionali. Anche qui la solita critica alla “deriva tecnocratica che ha preso l’Europa, restituendo respiro alla visione di un solo popolo europeo”.
Quale Italia nell’Unione dopo il 4 marzo
Questa rapida carrellata ci permette di trarre alcune considerazioni sui futuri orientamenti e contributi del nostro Paese nei confronti dell’ Europa. La prima è che a grandi spanne, alla luce dei sondaggi elettorali di questi giorni, almeno un 60% delle forze politiche italiane è quanto meno euroscettico: M5S, centro-destra e in qualche misura LeU esprimono un atteggiamento fortemente difensivo, quando non contrario, alla attuale Ue. In ciò si confermano le tendenze euroscettiche messe in luce da diversi studi europei sul crollo verticale del favore della nostra opinione pubblica nei confronti di Bruxelles. Siamo passati dal 70% e più a favore dell’Ue di una decina di anni fa ad un risicato 42% in tempi recenti.
Quello che tuttavia preoccupa di più è il fatto che gran parte dei partiti politici si facciano portavoce di queste tendenze, venendo meno ad una funzione tradizionale dei partiti che dovrebbe essere quella di orientare le opinioni pubbliche verso scelte razionali e vantaggiose nel medio-lungo termine. Altrimenti si cade nel puro e semplice populismo.
La seconda considerazione è che gran parte dei programmi forniscono una fotografia statica dell’Ue, dei suoi limiti e fallimenti. Non vi sono grandi ricette per il futuro: solo generiche affermazioni verso mete irraggiungibili. Unica eccezione è +Europa, ma è chiaro che questa piccola formazione non possa cambiare in modo radicale le carte in tavola, a meno che non si trasformi nella punta di diamante di un Pd ancora in bilico fra critiche alla Commissione e volontà di maggiore integrazione. Va infatti ricordato che la Commissione, nell’attuale assetto istituzionale, è una esecutrice degli ordini del Consiglio, quindi degli Stati membri, fra cui il nostro. Non ci sono alibi per nessuno se poi le cose non vanno bene.
La terza considerazione è che da tutti i programmi manca un senso di “visione” dell’ Europa che vogliamo: delle sue finalità, della sua straordinaria potenzialità e dei vantaggi che ne potranno derivare ai nostri Paesi, a cominciare proprio dall’Italia la cui posizione geo-strategica richiede più Europa ed è a vantaggio di tutta l’ Europa. Insomma, non si intravvede un Macron all’orizzonte che sappia chiamare a raccolta l’intero Paese rovesciando questo “mood” euroscettico.
Infine se dalle elezioni usciranno maggioranze euroscettiche o soluzioni abborracciate di mini-grandi coalizioni, la solitudine del nostro paese nell’Ue non farà altro che accentuarsi, a scapito dei nostri interessi nazionali in un’ Europa che in ogni caso è destinata a cambiare, sia con il rinnovo delle istituzioni nel 2019 che con il varo di un nuovo bilancio comunitario dal 2020 in poi. Se poi Macron e Merkel dovessero davvero mettersi in moto, allora l’esserci con proposte a noi favorevoli sarà della massima importanza. Ma dove sarà in quel momento l’Italia?
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