Ieri al Parlamento europeo è successa una cosa grave. I deputati, con una maggioranza di poco più di 90 voti (il 54 per cento) hanno bocciato la proposta di avere liste transnazionali alle prossime elezioni europee. L’idea circola da tempo, una ventina d’anni, e l’uscita dal consesso dell’Unione della Gran Bretagna aveva offerto una grande occasione per realizzarla, liberando un congruo numero di seggi, che averebbe potuto permettere di sistemare molte cose: riequilibrare la rappresentanza degli Stati, cosa che è stata fatta, lasciare liberi dei seggi per nuovi Paesi che potranno entrare in futuro nell’Ue, cosa che è stata fatta, e creare delle liste “europee”, nelle quali eleggere deputati presentati dai partiti europei a livello dell’Unione tutta e non solo su base nazionale, come avviene ora. Che non è stato fatto.
Parallelamente il Parlamento ha confermato il principio dei candidati indicati dai partiti, prima delle elezioni, per la guida della Commissione europea, gli ‘spitzenkandidat’. E questo è un fatto positivo.
Il passo avanti però è rimasto a metà: candidati unici alla Commissione, dunque scelti a livello europeo, ma con deputati, che dovranno approvare la nomina, sempre scelti a livello nazionale. Un passo piccolo, ma significativo, verso un’Unione più unita, che possa superare il livello del dibattito politico e della rappresentanza politica, che restano essenzialmente nazionali, non è stato fatto.
Diventa allora difficile parlare, nei singoli Paesi, di “più Europa”, se neanche a livello europeo si tenta un passo in questo senso. Se l’Europa stessa non ci crede.
A favore delle liste transnazionali si era schierato il governo italiano, da tempo, sostenuto, più di recente, anche dal presidente francese Emmanuel Macron, che a Strasburgo, proprio in Francia, ha subito la prima sconfitta del suo progetto europeista.
Si è persa un’occasione importante, che non si ripresenterà per anni, ma soprattutto si è persa l’opportunità di dimostrare ai cittadini, pur con un atto più simbolico che altro, che anche le istituzioni europee credono in quel che dicono.
Così diventa difficile convincere i cittadini che la strada giusta è quella verso una maggiore integrazione.