Dall’inviato a Strasburgo
Strasburgo – Sulle liste transnazionali per l’assegnazione di una parte dei seggi lasciati vacanti dall’Uk al Parlamento europeo dopo la Brexit “è stata messa una pietra tombale per i prossimi vent’anni”. Commentano così alcuni osservatori, nei corridoi del Parlamento europeo di Strasburgo, dopo che il voto in Aula ha respinto la proposta su cui si era speso con notevoli energie l’esecutivo italiano, riuscendo a ottenere l’appoggio del presidente francese Emmanuel Macron. Viene conservata invece la pratica, avviata con le passate elezioni europee, di indicare un candidato alla presidenza della Commissione europea per ciascuna coalizione che si presenta.
Non è bastato il sostegno italo-francese, né l’impegno degli europarlamentari più convintamente europeisti e federalisti a far passare la proposta per cui il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi si era speso in prima persona. Tutti gli emendamenti che andavano in quella direzione sono stati respinti dall’Aula di Strasburgo.
Tutti tranne uno, in realtà, che lascia ai Paesi membri la parola. Se saranno gli Stati a volere liste transnazionali dovranno cambiare la legge elettorale per le europee, dice il Parlamento. Si tratta di uno spiraglio su cui, però, neppure una convinta sostenitrice della proposta come Mercedes Bresso, eurodeputata del Pd, si fa troppe illusioni. “Sarebbe paradossale”, spiega, che un’istanza fortemente federalista venga portata avanti dal Consiglio, tradizionalmente poco incline a cedere prerogative nazionali al livello europeo.
Parla di “occasione sprecata” per colpa della “vecchia scuola dell’Europa intergovernativa” il presidente del gruppo dei Verdi-Ale, Philippe Lamberts. E a rammaricarsi del risultato è anche il Movimento 5 stelle. Il vicepresidente pentastellato del Parlamento europeo, Fabio Massimo Castaldo, aveva infatti confermato in Aula l’apertura alle liste transnazionali arrivata nel corso di How can we govern europe. “Avevamo superato le nostre perplessità”, riferisce l’eurodeputato M5s a margine della seduta. “Volevamo farne uno strumento per allargare il dibattito democratico nei nostri Paesi e includere anche i movimenti non costituiti in forma di partito”, ma “come al solito il Ppe non ha voluto accettare questo tipo di progresso”.
Partito popolare europeo che in effetti esulta. Giovanni La Via, eurodeputato italiano, rivendica che “la linea del Ppe è uscita vittoriosa”. L’opposizione dei popolari alla proposta è stata dettata dalla “discriminazione che si creerebbe tra la figura di un Mep (membro del Parlamento europeo, ndr) eletto sul piano nazionale in rappresentanza del Paese, e uno eletto in liste transnazionali bloccate dai partiti”.
Neppure una piccola quota dei 73 seggi britannici sarà quindi usata per le liste transnazionali europee. La maggior parte, 46, vengono messi “in riserva” per eventuali nuovi Paesi membri. Il totale dei seggi europei passerà quindi dagli attuali 750 a 705, perché i restanti 27 scranni britannici saranno distribuiti tra 14 Stati Ue attualmente sottorappresentati nell’Emiciclo. Tra questi c’è anche l’Italia, che otterrà 3 eurodeputati in più, sempre che la nuova composizione dell’Europarlamento proposta dalla Plenaria sia approvata anche dal Consiglio e, soprattutto, si verifichi effettivamente la Brexit. Se infatti il regno unito dovesse pentirsi, la riforma decadrà automaticamente, come previsto dal testo votato dall’Assemblea.
Se la questione delle liste transnazionali ha diviso gli schieramenti – e anche le forze politiche al loro interno hanno registrato voti non conformi alle indicazioni di partito – sugli spitzenkandidaten si è registrata invece una forte convergenza che di fatto lega le mani ai Paesi membri contrari all’indicazione di un candidato alla guida della commissione prima delle elezioni. La pratica è stata sperimentata con la scorsa tornata elettorale – quando il Consiglio ha indicato al Parlamento Jean Claude Juncker, candidato dei popolari usciti come primo partito dalle urne – e per il Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, “è un traguardo sulla via di un’Europa più politica e democratica da cui non si deve tornare indietro”. E con il voto di oggi sarà praticamente impossibile farlo, visto che “il Parlamento europeo non accetterà nessun presidente della Commissione europea che non sia stato indicato come spitzencandidat prima delle elezioni”.