Bruxelles – Per rilanciare le Regioni servono più investimenti pubblici. Il Consiglio delle Regioni e delle municipalità europee (Ccre) lo mette nero su bianco nel libro-contributo al dibattito sul futuro dell’Europa. Ma il Patto di stabilità e crescita non consentirà ad alcuni governi, Italia compresa, di spendere quanto si vorrebbe, a livello locale come centrale. E quindi le possibilità passano attraverso un decentramento fiscale (tasse locali con cui garantire gli investimenti per la competitività) e un maggiore contributo degli Stati al bilancio dell’Ue. Misure utili a garantire lo sviluppo regionale, sfuggire ai vincoli di spesa, e sopperire ai tagli che rischiano di colpire le politiche europee per la coesione quando verranno meno le risorse britanniche per effetto della Brexit.
Soprattutto in tempi di crisi, le risorse dell’Unione europea per le politiche di coesione hanno permesso lo sviluppo degli enti locali e dei territori. In Grecia, tanto per fare un esempio, l’80% di investimenti pubblici per infrastrutture e progetti strategici è avvenuto attraverso i fondi comunitari. Le politiche di coesione dovranno dunque rimanere al centro del prossimo bilancio pluriennale dell’Ue (2021-2027). Le regioni lo chiedono a gran voce, la Commissione europea promette che farà tutto il possibile per evitare riduzioni di disponibilità economiche. Ma il commissario per le Politiche regionali, Corina Cretu, avverte. “I soldi non sono tutto. La cosa più importante è la buona amministrazione, la capacità di utilizzare le risorse”.
Il vero nodo è e resta dunque il buon uso di quello che è offerto. Non a caso l’esecutivo comunitario sta pensando di legare l’utilizzo dei fondi per la coesione a un sistema meritocratico, fatto di premi per chi dimostra di spendere tutto e bene, con penalità per chi invece non è in grado di farlo. Cretu riconosce come le Regioni del Mezzogiorno abbiano “problemi amministrativi”, ma ammette anche il grande progresso compiuto con gli attori del Sud. Gli aiuti garantiti per il periodo 2007-2013, di cui Bruxelles sta facendo il bilancio, sono stati usati praticamente tutti. Dei 29 miliardi concessi alle regioni italiane andranno perduti 158 milioni di euro, pari allo 0,5% dei fondi complessivi. Da questo punto di vista la performance è “notevole”.
Notevole rischia di essere anche il buco di bilancio che si verrà a creare con l’abbandono dell’Ue da parte dei britannici. “La Brexit non va sottovalutata”, sottolinea Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna e del Consiglio delle Regioni e delle municipalità europee (Ccre). Le Regioni si aspettano tagli al bilancio e chiedono quindi che non siano “troppo rilevanti” nella loro dimensione. Le comunità locali guardano di buon occhio la possibilità di premiare chi sa fare un buon uso dei soldi comunitari, ma chiedono anche più investimenti pubblici. Un problema per Paesi come l’Italia, che per ragioni di risanamento dei conti non possono spendere come e quanto vorrebbero. Una delle opzioni sul tavolo sarebbe quella di aumentare il contributo nazionale al bilancio dell’Unione. Un’idea che vede la convergenza Ue-Regioni. La Commissione ha chiesto di fare in modo che il bilancio comune, attualmente pari all’1% dei Pil combinati dei vari Stati membri, aumenti all’1,1%. Il Parlamento chiede addirittura l’1,3%. Si vedrà, i negoziati sono appena iniziati. Intanto le regioni chiedono “una vera devolution fiscale”, con cui finanziare le opere che gli Stati centrali non possono sostenere per i vincoli di bilancio.