Questo editoriale è stato pubblicato in origine sul sito del Cespi.
Anche le prime settimane del 2018 hanno reso evidente come il mondo sia alla ricerca di un faticoso equilibrio. Gli eventi degli ultimi due anni – da Brexit alle scelte destabilizzanti di Trump, dall’esplodere dell’emergenza migratoria all’affermarsi di movimenti populisti, dai sussulti che scuotono il Mediterraneo e il Medio Oriente alle dimostrazioni nelle piazze iraniane fino ai rischi dell’armamento nucleare della Corea del Nord – ci offrono l’immagine di uno specchio rotto in mille frantumi.
Venuto meno l’equilibrio bipolare che per mezzo secolo aveva presieduto alla stabilità del mondo, per circa vent’anni – dalla caduta del muro di Berlino fino all’esplodere della crisi finanziario-immobiliare del 2008 – il pianeta aveva trovato un suo equilibrio nella stabilità multipolare e in una globalizzazione che ai paesi industriali offriva nuovi mercati e a miliardi di persone consentiva l’accesso a consumi da cui fino ad allora erano stati esclusi.
Ma la crisi dell’ultimo decennio ha cambiato la vita del mondo, facendo emergere le contraddizioni e i limiti di una globalizzazione guidata dalle sole dinamiche della competizione di mercato. Soprattutto le società industriali dell’occidente sono state investite da profondi sommovimenti che hanno prodotto una frattura tra “inclusi e esclusi”: una lacerazione tra chi pur vivendo in un contesto di crisi è riuscito a salvaguardare le proprie condizioni di lavoro e di reddito e chi invece ha visto messe in discussione e compromesse le proprie condizioni di vita. In costoro è maturato così un sentimento di solitudine e di esclusione che ha sollecitato e dato fiato a spinte centrifughe, ripiegamenti nazionalistici, pulsioni antisistemiche, chiusure identitarie. Presentandosi ai suoi fan la sera della vittoria, Donald Trump ringraziò il forgotten man. Ed è quell’“uomo dimenticato” che ha votato per la Brexit, ha sperato in una vittoria della Le Pen, ha affidato la sua rappresentanza alla destra austriaca, ha abbracciato le pulsioni xenofobe dei movimenti anti immigrati.
È emerso così via via il cuore della crisi: il venir meno della centralità dell’occidente in un mondo più grande, segnato dal protagonismo di nuovi attori – dalla Cina all’India, dalla Russia ai tanti paesi emergenti – e dal ritrarsi degli Stati Uniti, con la presidenza Trump, in una logica neoprotezionista e neoisolazionista. Uno scenario che ha sollecitato ciascuno a chiudersi nel proprio giardino di casa, alzando muri e ripristinando barriere e illudendosi così di difendersi dagli effetti della crisi. Uno scenario che ha messo a dura prova quel multilateralismo e quelle politiche di integrazione sovranazionale che sono l’unico antidoto alla frammentazione e alla ingovernabilità del mondo.
Dunque da qui, in questo 2018, bisogna ripartire rilanciando multilateralismo, integrazione sovranazionale e ruolo delle istituzioni internazionali. É una pericolosa illusione pensare che saltato un equilibrio, un altro se ne ricostruirà spontaneamente. Serve un’azione consapevole e una strategia lungimirante che solleciti le classi dirigenti di ogni Paese a uscire dagli egoismi per concorrere ad un nuovo ordine multilaterale in cui ciascuno possa riconoscersi.
Un obiettivo che chiama l’Unione Europea ad una particolare responsabilità. Proprio perché l’Europa continua a essere il più forte giacimento di produzione, innovazione, tecnologia e accumulazione culturale del pianeta; proprio perché in Europa si è realizzata l’esperienza più avanzata di integrazione sovranazionale; proprio perché l’Europa è la patria del welfare, dello stato di diritto, della democrazia e dei diritti civili; proprio perché non vi è criticità – dal climate change all’emergenza migratoria, dalle crisi del Mediterraneo al nucleare iraniano, dalla crisi ucraina al nodo turco – che non investa direttamente la vita e il futuro del continente europeo; è l’Unione Europea che deve assumersi oggi la responsabilità di costruire, con gli altri grandi protagonisti della vita del mondo, un nuovo e più giusto ordine mondiale fondato sulla pace, sui diritti, sulla sostenibilità, sulla cooperazione, sulla integrazione.
Piero Fassino è il presidente del Cespi, Centro Studi di Politica Internazionale.
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