Roma – Immigrazione, Brexit, rapporti con la Russia: nei suoi incontri con i vertici delle istituzioni europee a Bruxelles, l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi affronta i dossier più caldi come fosse ancora premier o in procinto di ri-diventarlo. Nello stesso momento, in Italia, il suo alleato leghista Matteo Salvini presenta due candidati anti-euro alle politiche, rivendicando la “coerenza della Lega” sulle posizioni che gli sono valse l’etichetta di euroscetticismo. Sembrano la classica coppia da telefilm poliziesco, in cui il detective buono (Berlusconi) prova a mostrare un volto rassicurante, mentre quello cattivo (Salvini) minaccia e usa le maniere forti.
Il fondatore di Forza Italia tranquillizza i partner europei sul rispetto dei vincoli di bilancio. Condivide con il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, la necessità di una “relazione amichevole” con la Russia e la “volontà di aiutare gli Stati africani a darsi delle economie” in grado di disincentivare l’emigrazione verso l’Europa. Parla con il capo negoziatore dell’Ue per la Brexit, Michel Barnier, per assicurarsi che anche dopo il divorzio tra Londra e i 27 “i 600 mila italiani che sono in Inghilterra godranno della stessa situazione”.
Con una tempistica che è difficile ritenere casuale, il segretario federale del Carroccio si presenta invece a Montecitorio con i suoi due candidati di punta per i temi europei: il responsabile economico del partito, Claudio Borghi Aquilini, e l’autore di ‘Il tramonto dell’Euro’, Alberto Bagnai. Entrambi economisti convinti che l’euro sia stato “un esperimento fallimentare”. Sulla moneta unica e sull’Unione europea “non abbiamo mai cambiato idea”, rivendica ancora Salvini. A chi gli fa notare la contraddizione tra le sue posizioni e quelle che nelle stesse ore Berlusconi presenta a Bruxelles, il parlamentare europeo le derubrica a “sensibilità diverse”.
Quel che conta per il leader leghista, infatti, è il punto 3 del programma “condiviso e sottoscritto da tutti” nel centrodestra. Lì, ricorda, “c’è scritto: meno vincoli dall’Europa; no a politiche di austerità; revisione dei trattati europei; e prevalenza della Costituzione italiana sul diritto comunitario”. Quindi, assicura, “siamo disposti a tutto, anche a disapplicare le regole europee che si sono dimostrate un disastro, pur di difendere le imprese e le famiglie italiane”. Di conseguenza “non esiste” né la “direttiva Bolkestein”, né quella sulle banche che “azzera e distrugge migliaia di risparmiatori italiani”, e neppure “il numerino 3” che rappresenta il tetto alla percentuale di deficit consentito rispetto al Pil.
Se è vero che “non c’è nessuna possibilità” per l’ipotesi di una grande coalizione tra Forza Italia e Pd dopo il voto – esclusa da Berlusconi perché il centrodestra avrà “la maggioranza alla Camera e al Senato – cosa bisogna attendersi in Europa da un’Italia governata dal centrodestra, viste le “sensibilità differenti” di Lega e Fi?
Facendo la tara elettorale alle parole di Salvini si capisce che non verrà portata avanti nessuna iniziativa per abbandonare la moneta unica. Il segretario del Carroccio ripete che l’euro “è stato e rimane un esperimento fallimentare”. Tuttavia, come il Movimento 5 stelle fa già da tempo, anche la Lega non predica più l’uscita ma chiede di “modificare i trattati”.
La strada che hanno in mente la spiega Bagnai parlando di un ritorno allo Sme, il Sistema monetario europeo che prevedeva per le monete nazionali tassi di cambio prefissati, con la possibilità di una oscillazione che per l’Italia era del 6% in più o in meno. Una strada destinata a scontrarsi con le “resistenze politiche” degli altri partner europei, Germania in testa, riconosce lo stesso candidato leghista, secondo il quale si può “solo sperare” in un loro ravvedimento. Anche perché sulle nuove regole per l’euro, aggiunge Borghi, “se ci si mette d’accordo è bene, ma se bisogna andare per tribunali è un danno per tutti”.
L’intento non è realmente quello di uscire dall’euro, quindi. A confermarlo è lo stesso Salvini, secondo il quale la strategia per l’abbandono della moneta unica serve per “farsi trovare pronti”, nell’eventualità che “domani la Germania dica: grazie alla moneta unica abbiamo realizzato il massimo del realizzabile, è stato bello, grazie e arrivederci”. Pronti a chiudere con l’euro non per propria iniziativa, dunque, ma “se qualcuno, altrove, decide di uscire”.