Bruxelles – Anche se gli Stati membri dell’Ue sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non possono ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell’Unione rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di uno Stato non Ue, un diritto di soggiorno permanente sul loro territorio.
Lo sostiene l’avvocato generale della Corte di Giustizia europea Melchior Wathelet, secondo il quale la nozione di “coniuge” comprende, “con riferimento alla libertà di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, i coniugi dello stesso sesso”.
La posizione è emersa nel corso di una causa davanti alla Corte proposta da Relu Adrian Coman, cittadino rumeno, e da Robert Clabourn Hamilton, cittadino statunitense, che si sono sposati a Bruxelles nel 2010. Nel dicembre 2012 Coman e il suo coniuge hanno chiesto alle autorità rumene il rilascio dei documenti necessari affinché Hamilton potesse lavorare e soggiornare in modo permanente in Romania con il suo coniuge. La domanda era fondata sulla direttiva relativa all’esercizio della libertà di circolazione, che permette al coniuge di un cittadino dell’Unione di raggiungere quest’ultimo nello Stato membro in cui soggiorna.
Le autorità rumene hanno tuttavia rifiutato di concedere al signor Hamilton il diritto di soggiorno, in particolare per il motivo che egli non poteva essere qualificato in Romania quale “coniuge” di un cittadino dell’Unione, dato che questo Stato membro non riconosce i matrimoni omosessuali.
Nelle sue conclusioni, oggi l’avvocato generale Wathelet precisa, anzitutto, “che la problematica giuridica al centro della controversia non riguarda la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso (ora possibile in 13 Stati dell’Unione), bensì la libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Orbene, anche se gli Stati membri sono liberi di prevedere o meno il matrimonio tra persone del medesimo sesso nel proprio ordinamento giuridico interno, essi devono rispettare gli obblighi loro incombenti rispetto alla libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione”.
L’avvocato generale constata poi che la direttiva non prevede alcun rinvio al diritto degli Stati membri per la determinazione della qualità di “coniuge”, cosicché “tale nozione deve essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme”. Secondo l’avvocato generale “la nozione di coniuge ai sensi della direttiva si riferisce a un rapporto fondato sul matrimonio, pur essendo neutra rispetto al sesso delle persone interessate e indifferente al luogo in cui il matrimonio è stato contratto”. Aprendo ad una giurisprudenza di fatto innovativa, e che potrebbe estendersi ad altri diritti, l’avvocato generale considera che, “alla luce dell’evoluzione generale delle società degli Stati membri dell’Unione nel corso dell’ultimo decennio in materia di autorizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, la giurisprudenza della Corte secondo cui il termine ‘matrimonio’ secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri, designa un’unione tra due persone di sesso diverso non può più essere condivisa”.
L’avvocato generale rileva altresì che la nozione di “coniuge” è necessariamente connessa alla vita familiare, che è tutelata in maniera identica dalla carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Al riguardo, l’avvocato generale ricorda che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che, da un lato, le coppie omosessuali possono avere una vita familiare e, dall’altro, che dev’essere loro offerta la possibilità di ottenere un riconoscimento legale e la tutela giuridica della loro coppia. Inoltre, la Corte dei diritti dell’uomo “ha altresì ritenuto che, in materia di ricongiungimento familiare, l’obiettivo consistente nella protezione della famiglia tradizionale non possa giustificare una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale”.
Dunque, almeno per questo caso di libertà di stabilimento, l’avvocato generale esprime il parere che la nozione di “coniuge” ai sensi della direttiva “comprende anche i coniugi dello stesso sesso”. Di conseguenza, anche una persona che ha lo stesso sesso del proprio coniuge può soggiornare in modo permanente sul territorio dello Stato membro in cui quest’ultimo si è stabilito quale cittadino dell’Unione dopo avere esercitato la propria libertà di circolazione.
Ora bisognerà attendere la sentenza delle Corte, nelle prossime settimane, per sapere se la posizione sarà condivisa anche dai magistrati giudicanti.