Roma – “Io non credo sia più il momento per l’Italia di uscire dall’euro”. In questa frase pronunciata ieri a Porta a porta da Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e candidato a Palazzo Chigi per il Movimento 5 stelle, molti hanno letto l’ennesima giravolta pentastellata sulla moneta unica. In realtà è il completamento di un percorso, partito quasi un anno fa con un post dello stesso Beppe Grillo sul suo blog, che ha ormai trasformato il M5s in una forza dialogante e non più di mera rottura. Infatti, il motivo per cui il candidato premier pentastellato non ritiene sia più l’ora dell’addio alla moneta unica, spiega egli stesso, è che “l’asse franco-tedesco non è più così forte” e quindi per l’Italia “c’è più spazio” per incidere nel dibattito sulle regole europee. Da capo designato di un eventuale governo a guida 5 stelle, Di Maio si mostra pronto al dialogo e spera di “non arrivare al referendum sull’euro, che comunque per me sarebbe un’estrema ratio”, conferma il leader M5s.
Rimane difficile dargli ragione sull’indebolimento dell’asse franco-tedesco, proprio mentre i Parlamenti di Francia e Germania si apprestano ad approvare, il 22 gennaio prossimo, un’identica risoluzione che impegna ni due Paesi a ricercare un’integrazione sempre più stretta sul terreno del diritto di impresa, del mercato del lavoro, dei diritti sociali. Tuttavia è da registrare la propensione del candidato a 5 Stelle a discutere con i partner europei.
Discussione che comunque sarà accesa. Perché se è vero che il Movimento non persegue più l’uscita dalla moneta unica, è altrettanto vero però che è pronto a dare battaglia per farsi “ascoltare in Europa. Noi vogliamo contare soprattutto nella difesa delle nostre imprese”, indica il capo politico della formazione di Grillo, individuando nel campo economico il terreno di scontro più aspro. Infatti se la prende con la regola che impone al deficit di bilancio la soglia massima del 3% del Pil. È una norma che “non funziona”, sostiene il campano convinto che “dobbiamo superare il 3% e fare investimenti ad alto deficit, per fare in modo che ci sia per lo Stato un gettito con cui pagare il debito” pubblico. Una ricetta destinata a scontrarsi con non poche resistenze a Bruxelles e nelle altre capitali europee.