Bruxelles – Uber offre servizi di trasporto, e quindi deve rispondere alle normativa sui trasporti. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Ue, nella sentenza che apre la strada ai divieti per il servizio taxi alternativo. Inscrivendo Uber nel settore trasporti, i giudici di Lussemburgo riconoscono che siano gli Stati membri a dover intervenire per regolarne il servizio, che a questo punto diventa un normale servizio di taxi. In alcuni casi sono già stati decretati divieti, in altri imposte multe. In particolare qui sotto accusa è il servizio “Uberpop”, contro il quale si erano mobilitati per questa causa legale i tassisti di Barcellona.
La Corte non ha dubbi. Un servizio d’intermediazione come quello offerto da Uber, concepito per “mettere in contatto” via smartphone e dietro retribuzione conducenti non professionisti con persone che desiderano effettuare uno spostamento nell’area urbana, “deve essere considerato indissolubilmente legato a un servizio di trasporto e rientrante, pertanto, nella qualificazione di servizio nel settore dei trasporti”. Vuol dire, in altre parole, che Uber non compie commercio elettronico, proprio quello che l’azienda statunitense aveva sostenuto fin dall’inizio in risposta a divieti e restrizioni imposti dagli Stati.
La sentenza della Corte conferma l’interpretazione normativa offerta nei mesi scorsi dall’avvocato generale e ora chiarisce che Uber, se vuole entrare sul mercato, dovrà farlo alle regole vigenti negli Stati membri. Significa soprattutto licenze. I cittadini europei adesso dovranno fare affidamento alla clemenza dei loro Paesi. Sempre che aperture arrivino. Finora è avvenuto il contrario, e Lussemburgo conferma questa linea.