Si attribuisce a Winston Churchill l’indovinata affermazione che “i Balcani producono più storia di quanta non ne possano consumare”. L’Italia sembra invece rimasticarsi sempre quella, senza mai riuscire a digerirla. Se oggi c’è ancora qualcuno che ha il cattivo gusto o l’ignoranza, a seconda dei punti di vista, di proporre di seppellire Vittorio Emanuele III al Pantheon, vuol dire che la scuola non fa il suo lavoro nell’insegnare la storia o, più verosimilmente, che non c’è in Italia una visione condivisa della nostra storia.
Contrariamente alla Germania, noi non abbiamo mai fatto quella radicale operazione di disinfestazione dal fascismo, dalle sue complicità e dalle sue contaminazioni. Così ci tiriamo dietro scorie che col tempo diventato “fake-history”, nell’inestinguibile scia del falso mito degli “italiani brava gente” secondo il quale laddove c’è un italiano anche il male alla fine si trasforma in farsa. I nostri libri di storia non raccontano le epurazioni etniche perpetrate dai bravi italiani in Libia e in Etiopia, non raccontano del rastrellamento di Lubiana del 1942 e dei campi di concentramento dove gli “italiani brava gente” hanno imprigionato e lasciato morire di stenti migliaia di civili iugoslavi durante la Seconda guerra mondiale.
Dicono però chiaro e tondo che Vittorio Emanuele III lasciò Mussolini prendere illecitamente il potere, che firmò le leggi razziali che permisero ai nazisti di arrestare e deportare nei campi di sterminio cittadini italiani, che fuggì da Roma dopo l’armistizio, quando più che mai gli italiani avevano bisogno di un’istituzione che li riunisse, che li difendesse e che li rappresentasse. Su questi fatti dovrebbe essersi costruita nel tempo una visione consolidata della nostra storia e un giudizio chiaro sul penultimo regnante della Monarchia sabauda. Se ciò non è accaduto è per causa di uno dei nostri più vigliacchi vizi nazionali: il dimenticare.
Come aveva diagnosticato Indro Montanelli nel suo tempo, l’italiano sembra non avere memoria, né corta né lunga, vive senza consapevolezza in un presente usa e getta. L’italiano non si assume responsabilità individuale di nulla: la colpa, se ce n’è una, è sempre di altri, mai individuati, un’alterità anonima, una folla cieca come quella di Renzo Tramaglino nei “Promessi sposi”, che resta forse la migliore definizione della società italiana. Di qui arrivano le letture da tifo calcistico della storia, le mostruosità di quelli di Casa Pound, che di Pound non hanno mai letto un verso, del resto non ci riuscirebbero, la bestialità di Anna Frank con la maglia della Roma, ma era solo per scherzare, e ora anche le camice nere degli ultrà juventini.
Un paese alla disperata ricerca di eroi, forse perché proprio non ne abbiamo neanche uno, in mancanza di vittorie, costretto a celebrare della sua storia le sconfitte, come l’8 settembre e El Alamein. Così adesso ci rimastichiamo perfino Curtatone e Montanara, come ebbe a chiamare la coppia reale il Duca Amedeo di Savoia nel 1921, procurandosi l’allontanamento da corte. E basterebbe questo nomignolo a concludere: ma di cosa stiamo parlando? Possiamo ancora completare ricordando che l’unico erede dei Savoia è comparso per anni in una famosa pubblicità televisiva facendosi chiamare “Il Principe dei sottaceti”. Teniamogli un posto al Pantheon. In salamoia.