Bruxelles – Paolo Gentiloni chiarisce e saluta: “La mia missione è il completamento ordinato della legislatura, e questo è quanto”. Arrivederci e grazie. Il presidente del Consiglio sgombra il campo da voci che lo vorrebbero correre per un nuovo prossimo esecutivo. Un dibattito tutto italiano, seguito com’è comprensibile che sia a livello europeo. Entrando per un attimo nelle questioni interne nel corso della tradizionale conferenza stampa di fine Consiglio europeo, Gentiloni manda un messaggio politico anche i partner comunitari, che dovrebbe fare in tempo a rivedere al vertice dei leader del 22 e 23 marzo. “Sapete com’è nato questo governo e qual è la sua missione, e la missione di questo governo riguarda questa legislatura. Poi ci saranno elezioni che mi auguro vinca il centrosinistra”. Un Gentiloni bis, per ammissione delle stesso interessato, non è però un’opzione per il futuro prossimo. “Una lista Gentiloni non mi sembra realistica”, scandisce il capo di governo. “La mia somiglianza con Dini è scarsa”, dice sorridendo, e chiarisce prontamente che “Dini ha grande personalità, non volevo fare una battuta contro di lui”.
Gentiloni lascerà. Lo dice lui. E già che è in argomento, entra ancora più nel merito di governo. Dinamiche non solo tricolori. “Non è che l’Italia è la pecora nera e gli altri sono tutti iperstabili”, evidenzia l’inquilino di Palazzo Chigi. “Se guardiamo chi siede al tavolo ci sono esponenti di governi di minoranza”, governi uscenti alle prese con la formazione di coalizioni. Riferimenti alla Repubblica ceca, e ancor più alla Germania. A modo loro, diverso, entrambi Paesi chiave del processo decisionale in Europa, su dossier come quello relativo all’immigrazione. Finché Gentiloni sarà in sella – e scartare un suo bis a Palazzo chigi non vuol dire che l’attuale mandato si chiuda subito dopo le elezioni, soprattutto se sarà confermata la previsione di una lunga gestazione per formare il prossimo esecutivo – lavorerà per cercare un consenso sulla redistribuzione dei richiedenti asilo, che oggi appare lontano. Lascia in eredità politica la linea del suo governo: ricerca di un accordo entro il 2018, o sarà decisione a maggioranza e non più all’unanimità. La democrazia pura e cruda. Su questo dice di aver trovato il sostengo dei principali attori dell’Ue, una dote politica non da poco. Proprio per questo, forse, qualcuno lo vedrebbe bene ancora alla guida dell’esecutivo.
Gentiloni è attento e intento ad “occuparsi di quello che deve fare il governo”, quello in carica. E’ vero, per le questioni squisitamente nazionali e per quelle che nazionali lo sono un po’ meno, ma non troppo, perché l’uscita del Regno Unito dall’Ue comunque qualcosa, anche minima, la produrrà anche per lo Stivale. “La Brexit resta un tema complicato”. Il presidente del Consiglio non lo nasconde, e finché potrà difenderà l’idea, condivisa tra i 27, per cui “la fase di transizione non sarà un regalo alla controparte” britannica. Dice di non amare troppo i “modelli”, ma visto che vengono invocati da più parti allora preferisce essere chiaro. Il futuro britannico, nel periodo transitorio che condurrà verso l’addio vero e proprio, sarà di stampo ‘norvegese’. Vuol dire avere obblighi e costi di un Paese membro, senza però essere nelle sedi decisionali. “Sarà anche nell’interesse britannico avere una fase limitata, perché è una fase in cui si hanno pochi diritti e tutti i doveri”. Una fase che per l’Italia non gestirà Gentiloni. Ipse dixit.