Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk è un uomo normalmente pacato, equilibrato, con delle idee, certo, ma di norma alla ricerca del consenso. Il suo mestiere lo richiede, deve riuscire a tenere insieme 28 capi di Stato e di governo che spesso partono per tangenti opposte. In questi suoi primi tre anni il polacco è riuscito in questo intento, ed ha guadagnato anche la nostra personale stima.
Da martedì scorso è cambiato tutto. Dipenderà dal nuovo governo polacco? Dipenderà da un malumore del momento? Qualche frustrazione personale? Un’illuminazione oltranzista? Da martedì Tusk divide il mondo in due, alle volte tra buoni e cattivi, altre tra posizioni diverse dovute alla geografia, altre sembra quasi descrivere una sua idea di una natura umana tesa al contrasto costante. È stato un crescendo che, per ora, è arrivato alla non banale vetta di spiegare che l’Europa ha dei nemici. E stava parlando di difesa militare, un tema appena delicato.
Ha iniziato martedì, dicevamo, con quell’appunto ai capi di Stato e di governo sui migranti nel quale divideva l’Europa in due: quelli disposti a dare asilo ai rifugiati e quelli no. Ma non era un’analisi, era la sua accettazione di un fatto in qualche modo innato, immutabile, sul quale l’Unione non potrà far nulla e dunque tanto vale adeguarsi. Si sono sollevati 24 governi contro questa impostazione, e il buon presidente ha fatto qualche passo indietro, riscrivendo la lettera da capo.
Oggi è arrivato al Consiglio europeo dicendo che “quando parliamo di Unione monetaria ci si divide tra Nord e Sud, e quando ci occupiamo di migranti la divisione è tra Est e Ovest”. Si è scusato per questa sua “semplificazione geografica”, come l’ha descritta lui stesso. Ma l’ha fatta comunque, e l’ha messa per iscritto.
Poi è passato alla Brexit. È il presidente del Consiglio europeo, sa quali sono i temi importanti sul tappeto, e non se ne è fatto sfuggire nessuno. Anche qui il tema della divisione è stato il leitmotiv: “Non ho dubbi – ha detto ai colleghi del consesso, escludendo, immaginiamo, Theresa May, che pure però era presente – che il vero test per la nostra unità sarà la seconda fase dei negoziati per la Brexit”. Non si è detto sicuro, come faceva nei mesi scorsi, che l’Ue darà prova di unità, no, ha detto proprio che bisognerà vedere se c’è. Non che abbia torto, quel che dice è assolutamente vero, ma andava detto al contrario.
Il fuoco d’artificio finale (che finché resterà tale non è neanche tanto pericoloso, ma siccome si parla di cose che fanno ben altri fuochi ci si può preoccupare) lo ha raggiunto quando c’è stata l’ennesima celebrazione dell’accordo per la Pesco, un primo, importante passo verso una Difesa europea decentemente coordinata, il capolavoro politico di Federica Mogherini, cui va riconosciuto un giusto merito. L’italiana è riuscita nel suo intento anche perché ha sempre usato un vocabolario molto prudente, assertivo ma non avventurista. Soprattutto preciso.
Tusk no, ah, lui parla senza peli sulla lingua, e spiega, durante il discorso celebrativo, che “la Pesco è solo una buona notizia, ma lo è anche per i nostri alleati ed è una cattiva notizia per i nostri nemici”. Ora, “nemici” è una parola forte, che ha un significato chiaro di opposizione frontale, in questo caso specifico poi vuol significare un confronto militare, visto anche accanto a lui c’era un generale carico di medaglie e lustrini. L’Unione europea non ha mai detto di avere dei nemici da cui difendersi, non lo ha mai detto Mogherini, che tra l’altro ha in testa tutto un altro ruolo per la Politica estera e di sicurezza dell’Unione.
Tusk sembra sempre di più, in questa fase evidentemente per lui complicata, il suo omonimo Donald (Trump) d’oltre Oceano. Quello parlando così è diventato presidente degli Stati Uniti, viene il dubbio che, viste le scadenze elettorali polacche coincidenti con la fine del suo mandato a Bruxelles, anche il Donald europeo forse stia lavorando ad un suo futuro politico. Su posizioni molto diverse da quelle avute sino ad oggi.