Roma – Un esercito comune europeo non è più rinviabile, e l’Italia deve contribuire a recuperare i ritardi dell’Unione. L’Europa ha scelto di non fare passi avanti coraggiosi, e il risultato è un peso poco sentito sullo scenario internazionale. Se si vogliono cambiare le cose, la decisione è obbligata. “Un’Europa senza esercito non può fare una politica estera forte”. Parole chiare quelle di Lorenzo Cesa (Ppe), eurodeputato membro della commissione Affari esteri, intervenuto al dibattito sull’Unione delle difesa organizzato da Eunews nell’ambito di How can we govern Europe? 4, l’evento sull’Europa organizzato a Roma. Solo l’Europa della difesa può fare dell’Ue un player globale, e le recenti decisioni di istituire una Cooperazione strutturata permanente in materia di sicurezza e difesa (Pesco) vanno nella giusta direzione, anche se non basta ancora. Bisogna andare ancora avanti.
“Senza un esercito comune non abbiamo una capacità di reagire in maniera decisa, ferma e forte” alle sfide che attendono l’Ue e i suoi stati membri, e che sono sfide globali, sottolinea Cesa. La politica di difesa è materia di competenza nazionale, e dunque serve un passo avanti politico. E quello dell’europarlamentare del Ppe non a caso è un ragionamento è politico. “Se non arriviamo a fare gli Stati Uniti d’Europa, se non facciamo passi avanti, noi continueremo a parlare sempre degli stessi temi”. Di difesa si parla da sempre, perché i tentativi di fare l’Europa unita in questo ambito sono sempre naufragati. E questo ha lasciato l’Europa indietro. “Se riuscissimo ad avere un esercito unico e realizzare il sogno dei padri fondatori potremmo fare una politica estera forte”. Ma ad oggi “una difesa comune non c’è”, lamenta Cesa. “C’è un cooperazione, che non è sufficiente per affrontare le sfide che abbiamo di fronte. Stiamo facendo passi avanti, ma inadeguati”.
Guarda il bicchiere mezzo pieno Nicola Latorre (Pd), presidente della commissione Difesa del Senato. “La difesa europea è stata a lungo oggetto di conferenze e discussioni, sono stati fatti alcuni passi avanti e nell’ultimo anno si registra finalmente un’accelerazione decisiva” con l’istituzione della Pesco. Un’evoluzione in senso positivo non priva di incognite, però. “ Non emerge oggi con chiarezza una comune visione per la difesa”, il che dimostra che permangono “criticità che vanno superate, su cui si gioca la possibilità di portare avanti questo progetto” di integrazione. Una sfida, che potrebbe diventare tutta tricolore. “Da questo punto di vista il ruolo che può avere il nostro Paese è importante”.
L’esecutivo italiano ha nella difesa l’opportunità di riprendersi un ruolo di primo piano in Europa. “L’Italia ha una difesa competitivo e può giocare nell’integrazione europea della difesa un ruolo da protagonista, e competere con la concorrenza europea estremamente agguerrita”, rileva Sergio Jesi, vicepresidente di Elettronica. Il suo è un punto di vista squisitamente industriale, dato che difesa comune vuol dire sviluppo del mercato unico della difesa. A Elettronica spa “riteniamo che il futuro dell’Italia e delle imprese italiane si giochino in Europa”. Di fatto una chiamata a raccolta, che arriva anche dal presidente di Boeing Italia, Antonio De Palmas. “La situazione cambia a livello geopolitico, ma anche a livello tecnologico, e a livello tecnologico i cambiamenti saranno distruttivi”. Con l’avvento della tecnologia e delle robotica “c’è un onda di tecnologie commerciali, c’è un abbattimento dei costi nella sensoristica mai visto, e nei prossimi anni ci saranno modelli industriali che rivoluzioneranno l’industria” del settore. Per Boeing “in questo senso la Pesco permette di garantire competitività”, a patto che si crei l’ambiente politico e normativo adatto. Un compito che chiama in causa tutti, Italia compresa.
La Cooperazione strutturata permanente in materia di sicurezza e difesa in tal senso è un passo avanti importante, riconosce Lucio Demichele, capo dell’ufficio Politica estera e di difesa comune (Pesc) della direzione generale per gli affari di sicurezza. Però, ricorda, la Pesco “è un quadro di principi, di regole e di impegni assunti volontariamente degli Stati membri”. Vuol dire che “bisognerà riconfermare volontariamente e continuamente nei passaggi successivi”. Il tutto “in un contesto di risorse che non saranno spettacolarmente crescenti”. Inoltre, bisogna vedere “se a un certo punto le resistenze, perché qualcuno a un certo punto lo potrà fare, non bloccheranno il processo”. Insomma, restano incognite in un percorso mai scontato e ancora tutto da fare, dove Roma può e deve dare un contributo. “C’è una partita da giocare, in cui l’Italia deve esserci”.